UNA BRILLANTE RICERCA SCIENTIFICA IN UMBRIA SULLA

CHIRURGIA ESOFAGEA A CURA DI GIOVANI STUDIOSI

 

Il 13 marzo abbiamo avuto una bellissima notizia dal Centro di Chirurgia robotica di Spoleto, dove è stata messa a punto una importantissima ricerca clinica che ha acuto vasta risonanza sul Medicine Journal insieme all’Università della California. L’equipe del dottor Alberto Patriti e del chirurgo Luigi Marano, è stata protagonista di una ricerca comparativa tra due procedure, endoscopica e chirurgica, per il trattamento di un disordine funzionale dell’esofago, l’acalasia, mettendo a punto un parametro ecografico che porta il nome di Marano, il Marano index.

L’aclasia esofagea, in parole terra terra, è una disfunzione che contrasta la contrazione ordinata della muscolatura dell’esofago e che di conseguenza non consente il passaggio di alimenti e quindi di arrivare allo stomaco.

La stampa specializzata riporta cheIl team di ricercatori coordinato dal gruppo del San Matteo di Spoleto ha analizzato i risultati riguardanti le due metodiche ottenuti da un totale di 486 pazienti, decretando che, nonostante la POEM fornisca dei risultati soddisfacenti a breve termine, il trattamento chirurgico mininvasivo è da considerarsi ancora la prima scelta.

E’ un successo della sanità umbra e il Centro Studi MONTE ECHIA è particolarmente lieto di parlarne sul suo giornale on line, pizzofalcone, essendo, uno dei ricercatori, Luigi Marano, oltre che caro amico della redazione, un altro “nunziatello (1998 – 2001), che onora la tradizione culturale del Rosso Maniero, per l’appunto a Pizzofalcone.

 

LINTERVISTA A LUIGI MARANO

a cura del dott. Raffaele Porfidia,

chirurgo presso l’Unità Operativa di Chirurgia Generale, Presidio Ospedaliero Privato-Accreditato “Villa dei Fiori” – Acerra (NA)

Il dott. Luigi Marano, giovane chirurgo ricercatore in servizio presso l’ospedale “San Matteo degli Infermi” di Spoleto (AUSL Umbria 2), è autore di numerosi articoli scientifici sulla fisiopatologia gastro-esofagea e sulla tecnica chirurgica addominale. Vanta oggi l’onore di poter legare il suo nome ad un parametro ecografico che potrebbe presto divenire indispensabile per chi, nell’ambito sanitario, posiziona un catetere venoso centrale.

 

Luigi Marano

Prima di parlare del “Marano index”, da dove trae origine e la sua utilità, cerchiamo di far capire ai meno addetti ai lavori:

cos’è un catetere venoso centrale?

Risp.: è un presidio grazie al quale è possibile accedere al sistema venoso per effettuare terapie a medio e lungo termine. Le ragioni più frequenti che portano a inserire un catetere venoso centrale sono:

  • la somministrazione di una terapia antibiotica protratta per alcune settimane oppure di una chemioterapia per una malattia neoplastica;
  • la necessità di infondere terapie nutrizionali per problemi di malnutrizione;
  • l’impossibilità di accedere a una vena periferica per impoverimento del patrimonio venoso;
  • la possibilità di dimettere il paziente consentendogli somministrazioni di farmaci endovenosi anche a domicilio.

Com’è fatto un catetere venoso centrale?

Risp.: E’ costituito da un tubicino di lunghezza variabile (circa 20 centimetri) con un diametro di alcuni millimetri che viene inserito in una vena centrale. Di recente è stato descritto un nuovo approccio per impiantare catetere venosi centrali, basato sull’incannulazione ecoguidata di vene superficiali dell’arto superiore, denominato UGPICCs(UltrasoundGuidedPeripherallyInserted Central Catheters).

E’ un’alternativa valida e molto meno invasiva rispetto alla tecnica tradizionale.

Una tecnica d’incannulazione attraverso il braccio quindi, meno invasiva e secondo l’orientamento della medicina moderna, ma anche con qualche vantaggio in più?

Risp. : Certo, la possibilità di posizionare il catetere venoso centrale stando a letto dell’ammalato (anche al domicilio), minor dolore all’inserzione (stessa intensità di un prelievo ematico venoso), più bassa incidenza di complicanze infettive e non infettive, riduzione dei tempi procedurali, facilità di posizionamento e riduzione dell’attesa per l’inizio della terapia e bassi costi sono alcuni dei vantaggi da prendere in seria considerazione per impiantare un catetere con questa tecnica.

Detta in questo modo, sembra una tecnica perfetta per il paziente; ci sono controindicazioni?

Risp.: Bisogna sempre essere intellettualmente onesti, la tecnica perfetta non esiste. Anche questa tecnica ha le sue complicanze mentre non parlerei di vere e proprie controindicazioni.

Il mal posizionamento dell’estremità distale del catetere costituisce ancora oggi una comune complicanza che, quando avviene, richiede una nuova manovra di riposizionamento per ottenere una posizione ottimale della punta del catetere venoso, con conseguente incremento del tempo di procedura, costi, ed esposizione a radiazioni ionizzanti (per radiogrammi di controllo).

Dovendo a questo punto essere più tecnici, possiamo dire che la posizione ideale della punta del catetere venoso centrale è stata descritta essere la vena cava superiore, giusto al di sopra della plica di riflessione del pericardio parietale.

Per ridurre quanto più possibile il rischio di complicanze quali infezioni, trombosi, flebiti e aritmie cardiache: nonostante siano state descritte varie metodiche per localizzare la punta del catetere dopo l’inserzione del UGPICC (elettrocardiografia associate al UGPICC, ecocardiografia transtoracica, cateteri venosi con guida luminosa, etc…) la radiografia del torace standard rappresenta ancora oggi il gold standard per il controllo.

Tuttavia, tale metodica non consente un immediato controllo “real time” della punta del catetere, necessita di una sala radiologica con specialisti dedicati ed espone i pazienti a radiazioni ionizzanti; per tali motivi, dopo il posizionamento di un UGPICC, è prassi comune trasferire il paziente in sala radiologica per il controllo dell’estremità distale del catetere e, se non ben posizionato, ritrasferirlo in ambulatorio dove sarà sottoposto a nuova procedura di posizionamento che dovrà concludersi sempre con un nuovo controllo radiografico della posizione dell’estremità distale. 

Sembra quindi più dispendioso, in termini di tempo e di complicanze, il controllo che bisogna fare sulla posizione del catetere rispetto alla procedura stessa d’impianto?

Risp.: D’istinto le rispondo: Sì. In pratica è da questa considerazione che parte il mio lavoro. Ho codificato un nuovo e semplice indice empirico-ecografico (con approccio ecoguidato trans-addominale), denominato “Marano Index”, la cui applicazione consente di posizionare correttamente la punta del catetere centrale in real time, senza il ricorso alla radiografia del torace post-procedura.

Tale indice è basato sull’estrazione del catetere, una volta inserito per tutta la sua lunghezza in modo tale che la sua estremità distale sia visibile ecograficamente alla giunzione vena cava inferiore – atrio destro, per una lunghezza di 7.5 cm nelle donne e di 8 cm nei maschi, corrispondente alle dimensioni longitudinali medie del complesso atrio destro-porzione intrapericardica della vena cava superiore.

Bene, un sistema che sembra dare la certezza all’operatore del corretto posizionamento nell’immediato. Il Marano Index è frutto anche del suo background di fine anatomista e cultore della materia?

Risp.: La conoscenza e l’incondizionata passione per l’anatomia umana, che mi hanno permesso di affiancare il mio Maestro, Professore Cosimo Passiatore, nell’insegnamento universitario presso l’Università di Napoli, sono state determinanti per lo sviluppo della ricerca.

 

Il Maestro, Prof. Cosimo Passiatore ((Il “Maestro” di Luigi Marano, il Prof. Cosimo Passiatore, Professore di Anatomia Umana della Seconda
Università degli Studi di Napoli.
Dal 1/11/1993 è stato titolare dell’insegnamento di anatomia umana nel corso
di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia, sede di Caserta. Ha tenuto  l’insegnamento dell’anatomia in numerose scuole di specializzazione (ostetricia e ginecologia, medicina dello sport, chirurgia vascolare) e nei corsi di laurea delle professioni sanitarie (scienze infermieristiche, ostetricia, tecnici di radiologia, tecnici di laboratori ombio medico) e l’insegnamento di anatomia umana nell’ISEF sede di Napoli, di Medicina dello Sport nell’ISEF di Napoli, sede di Potenza, e di Teoria, Metodologia e didattica dell’attività motoria preventiva e compensativa nella Facoltà di Scienze Motorie dell’Università “Parthenope” di Napoli. Dal 2007 ha tenuto anche l’insegnamento di anatomia umana nella Facoltà di Scienze del farmaco per l’ambiente e la salute, e, dal 2009 al 2011, nel corso di laurea binter facoltà di Biotecnologie della Seconda Università di Napoli.
L’attività scientifica è stata rivolta allo studio delle valvole cardiache, della ghiandola pineale, del pancreas endocrino, delle variazioni ossee, muscolari e vascolari e, in modo particolare, delle catene muscolari indagate per mezzo dell’analisi elettromiografica dinamica. Ne fanno testimonianza oltre 100 pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali ed internazionali, nonché comunicazioni a congressi scientifici nazionali ed
internazionali.
 ))  con Luigi Marano

Ma la base scientifica è stata il lavoro di D’Oronzio che su 1.625 esami ecocardiografici, di soggetti adulti sani, dimostrò che la misura dell’asse longitudinale dell’atrio destro del cuore era un parametro costante, mostrando una differenza statisticamente significativa tra individui di sesso diverso (maschi con asse longitudinale di 4.4 cm e femmine con asse longitudinale di 4.7 cm) non influenzata dal tipo di costituzione (longitipi piuttosto che brachitipi). Kwon ha poi descritto accuratamente che la lunghezza del tratto intrapericardico della vena cava superiore, in vivo e col vaso ematico repleto di sangue, si attestava in una media di circa 3 cm. Sulla scorta di tali evidenze scientifiche ipotizzai di definire la lunghezza approssimativa del complesso atrio destro-vena cava superiore intrapericardica di 7.5 cm negli individui di sesso femminile e di 8 cm in quelli di sesso maschile.

Il passaggio dalla teoria alla pratica Le ha dato ragione?

Risp.: Ho esaminato il posizionamento dell’estremità del catetere in 53 pazienti applicando il “Marano Index” e confrontando poi l’avvenuto corretto posizionamento con la radiografia del torace post-procedura come da protocollo standard. L’identificazione del catetere nel lume della vena cava inferiore attraverso una scansione ecografica longitudinale mediana è stata possibile in 50 pazienti (94.3%) ed in tutti i casi è stato chiaro il posizionamento corretto del catetere applicando il “Marano index”, con una concordanza con i controlli radiografici post-procedura pari al 94.4% dei casi. Solo nel 5.6% ho ottenuto una incorretta localizzazione dell’estremità del catetere: si è trattato di pazienti con un habitus ecografico scadente che non ha permesso una valida identificazione della vena cava inferiore, rendendo quindi inapplicabile il “Marano index”. L’accuratezza di tale indice è risultata essere del 94%, con un valore predittivo positivo del 90% ed una sensibilità pari al 100%.

Volendo sintetizzare i vantaggi del Marano Index?

Risp.: Può consentire il posizionamento corretto di cateteri venosi centrali inseriti perifericamente senza la necessità di eseguire una radiografia del torace post-procedura di controllo, in pazienti selezionati con habitus ecografico adeguato. Consente di evitare l’esposizione a radiazioni ionizzanti, con conseguente riduzione dei costi e del tempo della procedura. L’impiego del nuovo indice, inoltre, potrebbe rivoluzionare le tecniche di impianto di tali cateteri in quanto, data la possibilità di eseguire il solo controllo ecografico, potrebbero essere posizionati anche a domicilio dell’ammalato, rappresentando un indiscutibile vantaggio soprattutto per gli ammalati non trasportabili.

Infine l’applicazione del Marano Index devia solo minimamente dalla procedura standard già codificata ed universalmente accettata, ed è tecnicamente facile da imparare e riprodurre.