………..il 2 febbraio scorso, l’ANSA ha diffuso una strabiliante ricerca guidata da un giovane italiano: “da universi paralleli a valanghe, ottenute le prime misure impossibili.

 Tutto chiaro.

E, per noi, comunissimi umani, tutto scuro.

E ancora, senz’altro riferendosi alle misure impossibili, sono quelle dei sistemi disordinati. Già, ci mancava. Finalmente abbiamo capito. Eh!

Parlando seriamente, le varie combinazioni di atomi di nuovimateriali, fino ai movimenti delle valanghe e delle dune di sabbia: per la prima volta si possono misurare tutti i possibili stati di questi sistemi imprevedibili e disordinati. Nell’università di Cambridge, un gruppo di ricerca guidato da un 26enne abruzzese ha sperimentato un metodo per “misurare l’imprevisto e il disordine”.

Metodo che è stato chiamato delle “128 sfere”, prendendo, come esempio facile facile, quello delle arance messe a caso in una cassetta.

Bé, la fortuna ci ha salvati.

Radio fante” si è accesa: Stefano Martiniani ha frequentatoil Liceo a Milano, presso la Teulié, l’altra Scuola Militare dell’Esercito(n.d.r.: per i lettori di passaggio, le due Scuole Militari sono La Nunziatella di Napoli e la Teulié).

L’abbiamo contattato e un suo compagno ci ha scritto con parole semplici semplici cos’è successo in quel gruppo di Stefano, tutti insieme con le 128 sfere.

Non sappiamo, leggendo questo “pezzo”, se sia stato più bravo Stefano Martiniani a guidare il suo gruppo a Cambridge o Nicola Offeddu a descrivere per pizzofalcone l’esperimento.

 

……METTI UN CUBO E 128 SFERE

di Nicola Offeddu

 

 

 

Qualche settimana fa, molti di noi hanno saputo del lavoro di Stefano, del Marinetti (il corso degli Allievi della Teulié), che non si è dedicato alla vita militare. Questo articolo è dedicato a tutti coloro che in seguito alle notizie si sono chiesti perché uno dei nostri Ex stia perdendo tanto tempo riempiendo, virtualmente, di sfere una scatola. Spero di riuscire a buttare un po’ di luce qui e là e interessare coloro a cui magari la notizia era sfuggita.

Avendo un dado, un giocatore si può chiedere quanto sia grande la probabilità che esca un dato numero. Per tentare di dare una risposta, ci sono svariati approcci al problema. Il più intuitivo forse è considerare la natura del dado stesso e fare due ragionamenti. Assumendo che sia costruito in maniera uniforme e perfettamente simmetrica, non abbiamo motivo di credere che un numero possa uscire con maggiore probabilità di un altro. Avendo quindi sei numeri, si può con ragionevole grado di certezza immaginare che ogni numero abbia la stessa probabilità di uscire in un tiro. Assegniamo quindi quasi inconsciamente una probabilità di un sesto ad ogni possibile numero. Questo approccio puramente teorico segue un ragionamento logico a priori. Non abbiamo toccato il dado per rispondere alla domanda. Una metodologia che, almeno in teoria, è sempre applicabile a qualunque situazione. Ora però immaginiamoci di avere due dadi, ci si può chiedere qual’é la probabilità che esca una data somma rispetto ad un’altra. In questo caso, la risposta si fa più complessa.

 

Una somma di 2, può infatti uscire solamente se entrambi dadi presentano un 1. Una somma di 3 può essere invece il risultato di due diversi tiri, 2+1 oppure 1+2.

Non tutti i risultati della giocata hanno quindi uno stesso numero di possibili combinazioni. Intuitivamente si può immaginare che risultati come 2 o 12 siano più rari rispetto a 6 o 7, che hanno molte più realizzazioni possibili.

In questo caso è ancora possibile prendere carta e penna, e contando tutte le combinazioni dare una risposta esatta al quesito. Il problema però diventa sempre più complesso se si aumenta il numero dei dadi, se si utilizzano dadi con un numero diverso di facce, o dadi truccati che non si comportano sempre nella stessa maniera o addirittura dipendono uno dall’altro.

Nella quasi totalità degli studi moderni, un problema di natura statistica non è risolvibile a priori con calcoli espliciti come nel caso del singolo dado.

Una delle ragioni principali per cui dagli anni 40 ad oggi si sono fatti passi vertiginosi in tutta la scienza, è stato l’avvento di calcolatori automatici. Questi ci hanno aiutato a risolvere proprio quesiti di questo genere, aprendo le porte a innumerevoli nuove tecnologie. Uno dei metodi più importanti e tutt’ora utilizzati, è il metodo di Monte Carlo, inventato e sviluppato in quegli anni da Stanislaw Ulam e John von Neumann nell’ambito della ricerca sulla bomba atomica nei laboratori di Los Alamos.

Questa famiglia di algoritmi è stata poi studiata, espansa e generalizzata negli anni 60 fino a diventare oggi quasi un canone nella maggior parte dei campi della scienza computazionale.

Per esemplificare come il metodo aggira tali calcoli, torniamo al singolo dado. Ci si può immaginare di non avere idea se questo sia truccato o meno, o semplicemente non avere tempo e risorse per ragionare sulla natura del dado. Un modo semplice per scoprire le probabilità dei vari numeri, è tirare il dado qualche migliaio di volte, e contare i risultati. Se il dado non è truccato probabilmente avremo, almeno parlando in termini di ordine di grandezza, lo stesso numero di 1, di 2, 3 e così via. Immaginandosi di poter tirare il dado infinite volte, è ragionevole considerare che, pressapoco, ogni numero uscirà un sesto delle volte.

A prima vista, questo metodo può apparire eccessivamente complicato, visto che il problema del dado è relativamente semplice. Se però ci si chiedesse, con quale probabilità in un dato giorno ci sia una data quantità di trasferimenti di dati che un satellite delle comunicazioni deve trasmettere, o con quale probabilità uno scontro fra due particelle produca una data configurazione di nuove particelle con una certa energia, si arriva rapidamente al punto in cui la risposta non può essere calcolata a priori.

Ci si può allora fare un modello della realtà, nel quale ogni persona è un dado, con una certa probabilità di trasmettere una certa quantità di dati sotto forma di email, facebook, e quant’altro.

A questo punto si può chiedere ad un computer di tirare centinaia di migliaia di questi dadi.

Si fa quindi una stima delle probabilità, senza magari avere una totale conoscenza del sistema e delle interazioni che avvengono all’interno di esso fra i singoli dadi/persone, essendo noi interessati solo alla somma totale dei numeri. Per questo, uno dei più importanti compiti della scienza oggi è ottimizzare e adattare questi algoritmi alle nuove tecnologie informatiche disponibili in termini di software e hardware.

Gran parte degli sforzi scientifici sono proprio devoluti proprio a questo.

Rientra in questo contesto il lavoro di Stefano. La domanda che il suo gruppo di ricerca all’università di Cambridge si è posto è in quali possibili combinazioni si possono disporre delle sfere dentro un certo volume. Come nell’esempio dei dadi, un modello apparentemente astratto e lontano dalla realtà può essere invece applicato a dei sistemi reali, spesso in maniera sorprendentemente diretta. Nel suo caso si tratta principalmente di materia granulare, ossia tutti quei materiali composti da un insieme di particelle solide non soggette a fluttuazioni termiche o a dinamiche dei fluidi.

Nell’industria questo spazia dalle M&M’s(n.d.r.: le famose mandorle rivestite di cioccolato e zucchero coloratoal materiale granulare che si deposita alla fuoriuscita di una ciminiera, fino alla sabbia in una spiaggia.

Il gruppo ha costruito questa ricerca su studi fatti antecedentemente su sistemi bidimensionali, espandendo il metodo per sistemi tridimensionali. Questo è stato reso possibile grazie all’ottimizzazione di algoritmi e software. Un importante passo è stato fatto in direzione della compresione di questi materiali. Durante la loro ricerca hanno analizzato come l’entropia (e conseguentemente varie caratteristiche termodinamiche) di questo sistema di sfere dipendesse da vari parametri. Sono riusciti così a dare paletti e gettare nuove basi per ulteriori ricerche nel campo.

Infatti, come sempre avviene nella ricerca, una risposta solleva numerose domande. Probabilmente nel gruppo di Stefano e in altre università ci si sta già chiedendo cosa succede a un sistema simile se si considerano sfere di dimensioni diverse, che interagiscono fra di loro, particelle diverse da sfere.

Tante piccoli e grandi modifiche che si possono e devono fare al modello, per capire meglio materiali, algoritmi e battere la strada per future applicazioni nella nostra vita quotidiana.