Uno,

Bersagliere Alpino

 

Questa è una storia inventata così come di fantasia sono i nomi i luoghi e i fatti nella quale si è svolta. Come scrivono all’inizio di molti film…..”ogni riferimento con la realtà è puramente causale”. Eppure potrebbe essere vera. Per questo l’ho scritta. E vi spiego il perché. Nel 1977 mi trovavo a Ceresole Reale, una minuscola quanto incantevole località dell’alto Piemonte con il battaglione alpini Susa”. Insieme a due Ufficiali ero entrato,di buon mattino,in un piccolo bar perché desideravamo una buona tazza di caffè. Da un angolo del piccolo locale compariva un uomo attempato,in divisa da guardiacaccia che,in modo deciso voleva offrire da bere agli alpini. Invece del caffè abbiamo dovuto bere due grappini a testa! Poi, l’uomo si rivolgeva a me che, al posto del cappello alpino,avevo il basco nero: lo sa Capitano, io sono un vero montanaro, nato e cresciuto su queste montagne, eppure quando mi hanno chiamato sotto le armi mi hanno arruolato nei bersaglieri. Ho il cappello piumato e quello alpino nell’ingresso di casa Io sono nato “penna nerae sono un alpino vero però sono orgoglioso di aver fatto la guerra come bersagliere.

Prima che potessi rivolgergli qualche domanda su questa strana vicenda, l’uomo usciva dal locale allontanandosi rapidamente.

Un Bersagliere in Russia

 

Una nebbia bassa copriva la steppa e il freddo aveva raggiunto i meno 25 gradi sottozeroIl bersagliere Umberto sembrava però non accorgersene. Aveva già fatto degli appostamenti nella neve. Questa volta però era da solo, sul fianco del suo plotone.

 

 

Al posto dell’elmetto piumato aveva indossato il morbido passamontagna bianco che gli aveva fatto mamma Irene e che gli lasciava scoperti solo gli occhi. D’altra parte quello era il compito che gli aveva assegnato il Sten. Silvestri, quell’ufficialetto tutto pelle e ossa che da quindici giorni aveva sostituito il Ten. Stella, ucciso da una granata di mortaio russa nella sua buca, al centro del plotone schierato a difesa.

Doveva sorvegliare, con la sua acuta vista di montanaro,la zona scoperta sul fianco sinistro del caposaldo. Di lì poteva arrivare il nemico per aggirarelo schieramento della 3^ Compagnia del Capitano de Leone. Gli avevano dato anche un binocolo ma con quella nebbia e quel freddo le lenti si appannavano e preferiva usare i propri occhi. In caso di avvistamento del nemico doveva tirare con forza la sbarra di legno alla quale era stato legato un pezzo di cavo telefonico lungo circa 300 metri. Telefoni da campo non ce n’erano. Alla fine del filo avevano messo delle scatolette di carne vuote che, strattonando, avrebbero prodotto un rumore metallico urtando tra loro.

Un campanello d’allarme di fortuna! La sua buca era abbastanza confortevole e ben mimetizzata. Ai piedi aveva i calzettoni di lana di capra che lui, come tutti montanari di Ceresole Reale, calzava nei lunghi e freddi inverni in montagna. Sopra il pastrano militare gli avevano dato una consunta coperta bianca presa dall’infermeria e Guido, l’aiutante di sanità, gli aveva fasciato con una benda di garza anche il moschetto. La sua posizione era stata definita molto importante e delicata dal Capitano de Leone, che gli aveva fatto molte raccomandazioni ma Umberto era preparato al compito che gli avevano affidato. Quante ore aveva passato nelle medesime circostanze nella caccia di frodo allo stambecco e al camoscio nel Gran Paradiso! Era solo la nebbia, ancora fitta, a limitare la visuale acinquanta metri. Ma Umberto era attento anche ai rumori. La neve era gelata e i passi o le persone che strisciano sul suolo innevato producono suoni a lui ben noti. E sì! I guardacaccia della alta valle Orco erano molto bravi e Umberto aveva sempre elusocon cura di passare da bracconiere a braccato. Le multe erano salate e c’era anche l’arresto. Non c’era vento per fortuna,quel gelido vento che seminava morte in molti esseri viventi della steppa. I rumori si distinguevano bene. E poi c’era il suo moschetto. Sei centri su sei alle lezioni di tiro. Ha anche tre caricatori in più di quelli riposti nella bandoliera e tre bombe a mano.

 

 

Umberto non ha paura!

 

Umberto ha preso la licenza elementare nel piccolo paese ai piedi della montagna, facendo molti chilometri a piedi per andare e tornare. Quando l’hanno chiamato alle armi, era sicuro di far parte della leva alpina ma al Distretto Militare di Torino l’hanno arruolato nei bersaglieri. Forse i Reali carabinieri avevano segnalato la sua abilità nella caccia di frodo! Terminata l’istruzione di base, ha chiesto di fare il bersagliere motociclista. Oh! Lui adorava le moto. Il padre Nino possedeva una scalcagnata Gilera degli anni trenta. Aveva imparato a guidarla quando aveva quindici anni. Si spostava addirittura nei ripidi sentieri di montagna senza paura. Il Sergente Maggiore Muzzi, il suo capo plotone, l’aveva accontentato.

Era giunto in Russia a cavalcioni di una rombanteGuzzi 500 con sul manubrio un fucile mitragliatore Breda 30.

Nel gelido inverno, arrivato all’improvviso, non c’era più una goccia di benzina e anche le munizioni scarseggiavano. I bersaglieri per spostarsi nella steppa russa dovevano usare le gambe. Dopo i primi successi, il fronte si era capovolto ed ora erano i russi a contrattaccare. Il suo battaglione si era disposto su una linea difensiva per permettere alle unità italo-tedesche di riprendere l’offensiva ed impedire ai russi di creare una testa di ponte sul Don. Umberto sapeva che dietro lo schieramento del battaglione, c’erano dei gruppi corazzati tedeschi e dei reggimenti di cavalleria montata italiani pronti ad intervenire.

Mentre continua ad esplorare con lo sguardo il terreno innanzi a se, i pensieri di Umberto vannoalla sua casetta lontana, costruita a mezza costa sul monte Levanna, che con i suoi 3619 metri di altezza domina il piccolo Lago di Ceresole formato dalla diga sul fiume Orco.

 

Pensa alla sua famiglia. A mamma Irene che prepara il latte per fare il buon formaggio di malga o che rimesta nel paiolo nel quale cuoce lentamente la polenta.

Nella sua mente rivive queste scene familiari di tutti i giorni. Ricorda la gioia di quando vengono a trovarli i vicini con la loro figlia Ninetta, che ha due anni di meno ma che è già una donna da marito, come dice mamma Irene.Non si vedevano spesso. La montagna impegna molto coloro che decidono di viverci e le distrazioni sono veramente poche. Ma, al ritorno dalla guerra si sarebbe fatto avanti. Sa di non essere indifferente a Ninetta e, a parte suo fratello tredicenne, in zona non ha molti rivali.

 

Nei suoi diciannove anni, Umberto non aveva mai visto una grande città come Torino ma conosceva tutti sentieri del Levanna e molti di quelli del Gran Paradiso, dove il re Vittorio Emanuele II aveva fatto costruire dei casotti di caccia prima che la grande Riserva fosse donata allo stato italiano. Lui è un montanaro ma ora èun bersagliere intento a spiare le mosse di un nemico agguerrito perché combatteper difendereil suo Paese invaso dagli stranieri. Pensava, e intanto le ore passavano. Non ha orologio ma la nebbia si sta lentamente diradando. Saranno circa le dieci del mattino. E’ in quella buca da oltre cinque ore. Il suo sguardo è sempre più attento e origlia ogni rumore sospetto. Non è stanco. Solo un po’ infreddolito.Sa però che bisogna muovere spesso le dita dei piedi e chiudere ed aprire le mani per favorire la circolazione del sangue. Erano i trucchi che gli aveva insegnato suo padre quando cacciavano di frodo in pieno inverno.

Ad un tratto un rumore sospetto alla sua sinistra lo concentra nell’ascolto, mentre con lo sguardo esplora il terreno davanti alla postazione. Ma è solo un piccolo coniglio in cerca di cibo. Umberto sorride, tira un sospiro di sollievo ma resta vigile.

 

 

No! Adesso no!

Questi nuovi rumori sono passi sulla neve gelata. Nel silenzio che segue si sente solo il click della sicura che Umberto toglie al moschetto. La nebbia è meno fitta ma la visibilità è ancora molto scarsa. Un centinaio di metri appena. Umberto imbraccia l’arma e si tiene pronto. Guarda in tutte le direzioni possibili ma non vede nulla. Il rumore dei passi riprende. Non c’è dubbio. Sono uomini che camminano furtivi, proprio come facevano i guardiacaccia sul Gran Paradiso per sorprendere i bracconieri. All’improvviso, proprio difronte alla canna del suo moschetto, appare una pattuglia nemica in tuta bianca. Sono una decina di uomini curvi e circospetti a circa ottanta metri di distanza, sbucati chissà da dove. Non lo hanno ancor visto.

Umberto mira il più vicino ma esita. Il bersaglio nel mirino del suo moschetto, infatti,non è un camoscio. E’ un uomo, magari con i suoi stessi sogni ed una famiglia lontana. Non ha mai ucciso un uomo….ma Umberto sa che chi ha di fronte è lì per uccidere. E poi ci sono tutti gli amici del suo plotone che si fidano di lui. Umberto spara. L’uomo cade. Strattona il filo per dare l’allarme perché il rumore dello colpo è attutito dalla neve. Poi spara ancora e un altro nemico cade a terra. I russi rimasti, tempestano con il fuoco delle loro armi automatiche la postazione di Umberto e si ritirano strisciando. La sorpresa è fallita. Non resta che ritirarsi.

Umberto vorrebbe uscire dalla buca per dire a quei due soldati colpiti dal fuoco del suo moschetto che lui ha fatto solo il suo dovere. Non ha niente contro di loro. La colpa è di ha voluto questa infausta guerra che nessuno in Italia auspicava e che ha proiettato migliaia di soldati lontani dalle loro case per invadere terre che Umberto non sapeva nemmeno che esistessero. Voleva gridare e chiedere il perdono di quei poveretti!

Qualcosa di caldo scorre lungo il suo braccio sinistro e inzuppa il pastrano. E sangue! L’hanno colpito ma non sente dolore. La sua buca è ormai circondata dai suoi commilitoni accorsi in suo aiuto. Guido, il suo amico infermiere, lo sta esaminando. Anche il Capitano de Leone sembra preoccupato e il Sten. Silvestri appare più magro e pallido del solito.

L’aggiramento russo è fallito. Il suo plotone è salvo. A ciò pensaUmberto mentre lo caricano su una barella. Anche se muore, i suoi amici bersaglieri sonosalvi per merito suo. E questeparole mormoratra se e se Umberto mentre lo spostano dalla “sua buca” all’infermeria. Tutti gli sorridono, tutti si congratulano per aver sventato l’imboscata nemica. Sul viso di Umberto appare un timido sorriso di orgoglio.

 

Questo breve racconto finisce qui. Però a me piace pensare che Umberto sia veramente esistito e che,sopravvissuto alla guerra, abbia sposato la sua Ninetta e abbia fatto il guardiacaccia sul Gran Paradiso, proprio come quello strano uomo incontrato per caso a Ceresole Reale nel 1977. Chissà! Forse quel tale non si chiamava Umberto, forse non abitava sul monte Levannae non aveva nemmeno combattuto sul fronte russo.Però, come “bersagliere” impegnato nella Seconda Guerra Mondiale, poteva aver vissuto veramente gli avvenimenti che ho narrato.

Lucio Martinelli