Questo è un racconto di fantasia

così come immaginari

sono i suoi personaggi,

ad eccezione di quelli storici,

realmente esistiti.

 

DAL XXI AL X SECOLO

 

di Lucio Martinelli

 

La scienza non è una illusione, ma la mente umana sì! È imperscrutabile. In certe condizioni sfugge a qualsiasi logica e può originare processi psichici inconsci che, influendo sulla psiche, possono indurre a credere ciò che si vuole, …….

(Sigmund Freud)

 

  • GLI ANTEFATTI

Maledetta pioggia! Non vedo ad un metro davanti al cofano. Proprio questa notte e con questo tempo dovevamo muoverci e per giunta volontari per questa missione infernale?”

“Smettila di lamentarti Isaac. Il comandante della batteria è rimasto ferito e nostri commilitoni hanno poche granate di mortaio e scarse munizioni per le armi portatili. Se i siriani attaccassero, approfittando di questo tempaccio, avrebbero buon gioco su molte delle nostre postazioni indifese. Se la cosa fosse capitata a noi non avresti voluto che qualcuno venisse tempestivamente in nostro aiuto?”

Con queste parole il Tenente Davide Manasse rispondeva alle imprecazioni dell’anziano Sergente Maggiore Isaac Heinke che, alla guida di una potente Ail Storm piena di casse di granate da 120mm, con agganciato un rimorchio da un quarto di tonnellata colmo di munizioni, si inerpicava su un sentiero, ridotto ormai ad una specie di torrentello fangoso, per raggiungere alcune postazioni a 1200 m. di quota sulle alture del Golan.

Le alture del Golan: un contrafforte montuoso di circa 1800 kmq, dominante i confini di Libano, Siria, Giordania ed Israele, era in mano degli israeliani dal 1980. Le cime montuose arrivano a superare i 2800 metri e l’intera area era rivendicata dalla Siria che cercava di riprenderle sotto il suo controllo con continui attacchi e bombardamenti. Su queste alture gli israeliani avevano numerose postazioni per impedire qualsiasi penetrazione siriana o di altri potenziali nemici dello Stato di Israele.

Se non stai attento, Isaac, finiremo per finire giù per la scarpata. Guida con più attenzione.”

 

“Senti Tenente. Quando io ho cominciato a guidare questi mezzi tu portavi ancora i pannolini. Accidenti, non posso nemmeno accendere i fari e questo tergicristallo non riesce a togliere l’acqua scrosciante sul parabrezza. Faccio del mio meglio ma quel rimorchio attaccato dietro mi fa sbandare ad ogni curva. Bisognerebbe sganciarlo e riprenderlo in un secondo momento”.

“Per ora continua a guidare ma rallenta un po’ la velocità. Il sentiero è ormai un mare di fango scivoloso”.

“OK capo. Farò del mio meglio per non romperci l‘osso del collo. Anch’io ci tengo alla mia pellaccia che, a parte qualche buco qua e là, ho sempre portato a casa in tutti questi anni di assurde guerre contro chi non vuole farci vivere in pace. E tu, tu Tenentino sei legato a me a filo doppio e..…….porca vacca…. per poco non uscivo di strada!” È colpa di quel maledetto rimorchio!”

Stai attento Isaac! Forse bisognerà veramente staccarlo. Ci sta facendo perdere tempo e ci mette in serio pericolo. Potremo venire a prenderlo quando avremo scaricato le granate che sono la cosa più importante”.

“E bravo il mio Tenente! Finalmente metti in pratica i miei insegnamenti. È l’unica cosa da fare. Tanto su questo sentiero passiamo solo noi. Appena arrivati al posto comando telefoneremo alla base informandoli. Non possiamo usare la radio. Rischieremo di farci intercettare così come non possiamo accendere i fari per non farci scoprire. Prendiamo gli impermeabili e le torce schermate e stacchiamo quel maledetto rimorchio. Siamo ancora troppo lontani dalle nostre postazioni e dobbiamo sbrigarci”.

“Hai ragione, come sempre, Isaac. Scendiamo e stacchiamolo”.

I due uomini avvolti negli impermeabili scendevano dalla jeep quasi all’unisono. Il rimorchio, però, era in trazione a causa del sentiero in salita. Bisognava frenarlo, mettergli le calzatoie e far retrocedere la jeep di qualche centimetro per poter staccare il gancio di traino. La pioggia continuava a cadere torrenziale e i due uomini non riuscivano quasi a stare in piedi a causa del fango. Frenato il rimorchio e poste le calzatoie sotto le ruote, Isaac risaliva a bordo per indietreggiare di quel tanto necessario per allentare la trazione sul gancio di traino e poterlo così staccare. Ma la jeep, forse a causa del suo pesante carico, invece di retrocedere di alcuni centimetri, per il fango slittava e arretrava di colpo rompendo il gancio.Il rimorchio, liberatosi di colpo, faceva da perno, scaraventando la jeep giù per la scarpata mentre Davide era colpito alla testa dal gancio del rimorchio ormai senza controllo.

Tramortito stramazzava a terra, mentre il grosso automezzo, con Isaac ed il suo carico, scompariva nella profonda scarpata.

2. I PERSONAGGI IMMAGINARI

 

Davide Manasse, era nato a Roma, 28 anni prima. Figlio di un facoltoso commerciante di tessuti il cui negozio era nel centro della città, trasformato poi in confezioni uomo-donna quando i tessuti avevano perso parte della commerciabilità,aveva avuto una infanzia felice e spensierata. Aveva ultimato gli studi universitari in Italia e a Londra e si era laureato con lode a Roma in lettere e storia antiche. Da adolescente aveva appreso la religione e la lingua ebraica in famiglia e presso la scuola della Sinagoga, tempio che poi aveva frequentato soltanto in occasione delle feste di precetto. Sempre interessato ai suoi studi, alle attività sportive ed alle ricerche, aveva avuto sporadiche avventure sentimentali, tutte finite con la stessa rapidità di come erano iniziate. Oltre all’italiano, parlava correntemente l’ebraico, l’inglese e naturalmente il latino e il greco antichi. Il fisico atletico gli aveva consentito di eccellere in molte discipline sportive, in particolare nella corsa e nel nuoto. Dopo la laurea aveva ricevuto diverse offerte di lavoro come docente in università italiane ed ebraiche, ma Davide voleva ulteriormente affinare la sua formazione con un corso di studi sulla conquista della Britannia da parte dell’Impero Romano che si teneva ad Oxford. La storia romana lo aveva da sempre affascinato e non perdeva occasione per approfondire le sue già notevoli conoscenze mediante corsi in Italia e all’estero.

Durante un party nel circolo universitario dell’ateneo inglese incontrava una bellissima ragazza israeliana: Leina. La giovane, insegnante di inglese in Israele, era ad Oxford per approfondire la lingua attraverso corsi di specializzazione nei settori aereonautico e commerciale. All’iniziale simpatia sorta tra i due fin dalla prima sera, era ben presto sbocciato un amore intenso e passionale tanto da indurre Davide ad andare con Lei in Israele per sposarsi. I genitori avrebbero voluto che Davide restasse a Roma e si dedicasse all’insegnamento. Tuttavia rispettavano la volontà del figlio ed accettavano la sua improvvisa decisione. Davide aveva due fratelli e due sorelle più giovani e i coniugi Manasse avrebbero avuto il loro da fare per crescerli. D’altronde Leina era figlia di una ricca famiglia israeliana trapiantatasi in Palestina ancor prima della nascita dello Stato di Israele. E, questo status di benessere sociale aveva favorito l’approvazione di papà Manasse a lasciar partire Davide per Israele.

I due fidanzati prendevano in affitto un piccolo appartamento a Tel Aviv dove Leina insegnava inglese nelle scuole superiori. Davide otteneva la cittadinanza israeliana, condizione necessaria per il futuro matrimonio.

Dopo due mesi di felice convivenza, Leina era uccisa da una autobomba esplosa davanti alla sua scuola, rivendicata da Hamas. Disperato, Davide, anziché rientrare in Italia, si era arruolato nell’esercito per il forte desiderio di vendetta contro chi l’aveva crudelmente privato di ciò che amava di più al

mondo. Un anno dopo era Sottotenente di artiglieria. Appena assegnato ad un reparto addetto alla difesa della frontiera nord, aveva conosciuto il gigantesco Sergente Maggiore Isaac e, da quel momento, i due avevano condiviso tutte le peripezie belliche che Israele doveva affrontare giorno dopo giorno per la sua sopravvivenza quale Stato indipendente nel cuore del mondo arabo-islamico. Nonostante le differenze di grado e culturale, tra i due era nata una profonda amicizia.Per Davide Isaac era un fratello maggiore, che però spesso doveva tirar fuori dai guai a causa del carattere impulsivo e attaccabrighe del suo amico. Giustificava la sua indisciplina con i superiori. Isaac, lo contraccambiava insegnandogli tutti i trucchi per la difendere la pelle in un Paese soggetto a continui attacchi terroristici e militari.

 

 

I due protagonisti: David e Isaac.

 

Isaac Heike, 53 anni, era nato in Israele da genitori immigrati dalla Germania, Dopo lunga gavetta era diventato Sergente Maggiore di artiglieria. Era noto in tutto l’esercito soprattutto per il suo caratteraccio e per la forza fisica ma anche per coraggio e competenza militare. Ex peso massimo della squadra israeliana di boxe, in realtà era una pasta d’uomo ed un addestratore di grande capacità. Si era molto affezionato al giovane Tenente fin da quando, uscito dalla scuola Ufficiali, era arrivato nella sua unità.Lo teneva affettuosamente sotto la sua ala protettrice di vecchio soldato ma non gli risparmiava consigli in modo burbero senza curarsi della differenza di grado.

Davide, dopo la morte di Leina non aveva più frequentato nessuna donna e la compagnia di Isaac lo distraeva dal profondo dolore che ogni sera lo attanagliava, impedendogli spesso di dormire. I due giocavano a carte, bevevano qualche birra insieme quando non erano impegnati in addestramento o a dare il cambio ai soldati della loro unità schierati sul Golan.

Il giorno prima dell’incidente, i siriani avevano colpito con un intenso bombardamento terrestre molte postazioni di artiglieria presidiate dall’unità di Davide e Isaac. Il Tenente comandante la batteria di mortai era rimasto ferito ad un occhio da una scheggia. Alla richiesta di sostituzione dell’Ufficiale e anche di bombe e munizioni che cominciavano a scarseggiare, i due si erano offerti volontari nonostante fossero appena rientrati per un turno di riposo. Non si curavano nemmeno delle condizioni meteorologiche proibitive che rendevano difficile gli spostamenti su sentieri sterrati.

“Prendiamo una grossa AilStorm e carichiamola di granate per i mortai poi attacchiamo un rimorchietto per le munizioni” aveva suggerito Isaac “è il mezzo migliore per arrampicarci sul sentiero con questa pioggia e con il fango. È potente ed ha la trazione integrale e le marce ridotte.

OK, Approvo la scelta. Diamoci da fare” aveva risposto Davide.

Aiutati da alcuni artiglieri, i due avevano caricato all’inverosimile i due mezzi.

Prima di partire, il Capitano comandante della batteria aveva fatto le ultime raccomandazioni.

Fate attenzione”,pioverà per tutta la notte.

Se i siriani venissero a sapere che quel settore non ha un comandante efficiente ed ha poche granate, potrebbero attaccare e prendere alle spalle le altre postazioni. Sarebbe un vero disastro perché con questo tempo elicotteri e aerei non possono levarsi in volo.

Mi raccomando: fari spenti e silenzio radio. Buona fortuna!

I due amici avevano salutato ed erano partiti senza indugiare oltre.

La Jeep Ail-storm.

 

3. SOGNO O SON DESTO!

Albeggiava ed aveva smesso di piovere quando Davide rinveniva dal colpo alla testa. Indolenzito e confuso, impiegava qualche minuto per capire cosa era successo. Aveva un piccolo taglio sulla testa ed un bernoccolo sul lato sinistro della fronte ma l’elmetto aveva impedito conseguenze molto più gravi.

 

Davide ferito ed ancora sotto shock.

“Mio Dio, Isaac, la jeep!Dove sono finiti?” Esclamava Davide cominciando a ricordare ciò che era accaduto e scorgendo sul sentiero solo il piccolo rimorchio, rovesciato su di un lato.

Circa cento metri più in basso,Davide intravedeva nella sterpaglia una sagoma scura. Come una furia, scivolando, cadendo, lacerandosi la tuta su delle pietre taglienti, si precipitava giù per la scarpata e dopo innumerevoli incespicate e urti finalmente raggiungeva la jeep, capovolta in un piccolo torrentello ingrossato dall’acqua piovana.

“Isaac, dove sei amico mio.  Sono qui per tirarti fuori.”Dimmi dove sei”,

gridava disperato Davide, ma per Isaac, con le gambe sotto il pesante mezzo non c’era più nulla da fare.

Come impazzito Davide, singhiozzando, cercava di sollevare la jeep con il suo carico per estrarre il corpo dell’amico. Dopo molti inutili tentativi, Davide riacquistava il suo sangue freddo. Mormorava alcune preghiere per i defunti in ebraico, poi presa una borraccia, il suo fucile d’assalto Tar.21 e una tuta di scorta, riempiva un piccolo zaino con dei caricatori per il suo fucile, alcune bombe a mano e dei caricatori supplementari per la “desert eagle”, la grossa pistola che aveva alla cintura.

La radio del mezzo e le portatili erano fuori uso. L’unica cosa da fare era risalire la scarpata e chiedere aiuto, sperando che, non vedendoli arrivare, qualcuno si fosse messo alla loro ricerca.

 Davide impiegava quasi un’ora per tornare sul sentiero. Una volta arrivato indossava la tuta di riserva in sostituzione di quella lacera e bagnata che aveva indosso. Decideva di tornare a piedi verso la base, senza dubbio più vicina al luogo dove lui e il povero Isaac erano diretti. Mentre scendeva dal sentiero, ormai quasi asciutto perché il sole era già alto, il paesaggio circostante gli appariva molto diverso. La vegetazione era scarsa, il suolo arido e sabbioso. Ma, immerso nel dolore per la perdita dell’amico e per il fallimento della missione, Davide sembrava non farci caso.

Ad un tratto, era scosso dai suoi pensieri dal calpestio di numerosi cavalli al galoppo.

Come è possibile? Né noi né i siriani ci serviamo di unità a cavallo. Forse mi sono ingannato”si chiedeva Davide. Tuttavia per prudenza si nascondeva dietro un grosso cespuglio. Davide rimpiangeva di non avere il binocolo a portata di mano, riposto nello zaino,ma ciò che poco dopo appariva ai suoi occhi lo lasciava letteralmente a bocca aperta.

A circa quattrocento metri dalla sua posizione una decina di cavalieri indossanti corazze, elmi e svolazzanti mantelli rossi da antichi soldati romani procedeva al piccolo galoppo verso il suo nascondiglio.

Ma è forse questo il momento di girare un film storico! si chiedeva sbalordito Davide. Malgrado lo stupore, si alzava in piedi da dietro il cespuglio agitando le braccia per attirare l’attenzione del gruppo di cavalieri. Qualche istante dopo un forte colpo in pieno petto lo faceva cadere dolorante a terra.

 

Cavalieri romani.

 

Mentre cercava di alzarsi, Davide era circondato da cinque soldati “romani” che gli puntavano contro delle lunghe lance mentre un arciere era pronto a scoccare la sua freccia.Altri cinque cavalieri,che non erano smontati da cavallo, lo osservavano attentamente. Prima che si riprendersi dallo sbigottimento e poter parlare, quello che doveva essere il capo della formazione a cavallo, l’apostrofava in latino, lingua che Davide conosceva bene per averla studiata e praticata per molti anni:

“Chi sei e cosa è lo strano costume che indossiLa freccia che t’ha colpito non è penetrata nel tuo petto, anzi si è smussata”.

Davide tirandosi su in piedi decideva di stare al gioco, pensando sempre ad una finzione cinematografica. Infatti, potevano averlo scambiato per una comparsa che doveva rappresentare il nemico.

Tuttavia questo non giustificava la freccia che se non avesse avuto indosso il giubbetto antiproiettile avrebbe potuto ferirlo gravemente e la lingua usata: il latino. Ciononostante, rispondeva nella stessa lingua, accennando un sorriso:

Sono un soldato israeliano che ha avuto un incidente poco lontano da qui. Potreste per favore contattare la mia unità per avvertirla di quanto mi è successo? Vi dirò dove potete trovare il mio comando oppure, potete fornirmi un mezzo di comunicazione”. Davide, infatti, non aveva la più pallida idea di come tradurre in latino la parola radio o telefono cellulare.

Il romano che aveva parlato e che a giudicare dall’elmo crestato sembrava essere a capo del gruppo, con fare estremamente meravigliato rispondeva:

Un soldato israeliano? Chi sei veramente! Come mai parli così bene la mia lingua? Rispondi prima che ti faccia giustiziare. Come mai la freccia non ti è penetrata nel corpo e, a parte il pugnale che hai alla cintura, cosa è quella strana cosa di metallo che ti è caduta a terra quando sei stato colpito? Come ti chiami e chi sei veramente. Parla prima che ti faccia uccidere se penserò che menti.”

Davide, nonostante lo stupore e l’incredibilità, decideva di rispondere cambiando la prima versione.

“Sono un ebreo ed ero andato a trovare dei parenti su queste montagne ma il mio asino è morto cadendo in un burrone. Mi chiamo Davide e la tua freccia non è penetrata nel mio petto perché ho indosso una veste che mi ripara da tutte le offese. La cosa che hai visto ai miei piedi l’ho trovata sul sentiero e l’ho raccolta perché destava la mia curiosità. Ciò che ho nello zaino sono i doni che i miei parenti mi hanno dato per portali alla mia famiglia. Credimi, Centurione, sono un ebreo ma ho studiato il latino a Roma, quello dei vostri illustri scrittori e filosofi.Voglio diventare cittadino romano e lo chiederò al vostro Imperatore. Per questo dovrò recarmi presto a Roma, città dove sono nato.

“Non sono Centurione ma sono il Decurione Decio di questa turma. Ti porterò al nostro castra per essere interrogato. Raccogli le tue cose, consegna il tuo pugnale e monta dietro quel cavaliere. Andiamo”.

Davide si affrettava ad eseguire l’ordine. Consegnato il pugnale (una baionetta), raccoltil fucile e con lo zaino sulle spalle montava agilmente dietro un soldato su un poderoso baio, che si agitava nervosamente per l’inaspettato peso sulla groppa.

Dopo una silenziosa galoppata di circa mezz’ora, i cavalieri giungevano in vista di un enorme campo fortificato, un castra romano.L’ingresso recava le insegne della XII Legione “Fulminata”.

Lo stupore di Davide a questo punto era immenso. Si trattava della Legione che era stata umiliata nello scontro nella gola di Beth Horon dove

 

Resti del castrum romano di Vindolanda.

 

aveva perso addirittura l’aquila, la sua insegna, ad opera di combattenti ebrei. Davide ricordava che Tito, il figlio maggiore di Vespasiano, aveva voluto che questa Legione si unisse alle altre tre durante la campagna per la conquista di Gerusalemme. Si pizzicava ripetutamente le guance per verificare se stava sognando o se quanto stava vivendo e vedendo fosse una inspiegabile realtà. Ma persone e scenario restavano immutati.

Varcata la sorvegliatissima porta pretoria, la turma si dirigeva verso il centro del castra dove sorgeva un padiglione, in gran parte ligneo, sorvegliato da giganteschi guerrieri, certamente africani per il colore scuro della pelle. Il Decurione, smontato da cavallo, chiedeva di parlare con il Centurione di servizio. I due Ufficiali parlottavano per un po’ tra loro, poi il Centurione entrava nel padiglione.

Poco dopo usciva dicendo al Decurione:

Portate dentro l’ebreo. Il Legato Imperiale Tito, figlio maggiore del grande Vespasiano e Generale della armata di Palestina, vuole vederlo”.

Smontato da cavallo, consegnato il fucile e lo zaino, Davide seguiva il Centurione in mezzo a quattro guardie minacciose e con le armi spianate.

Giunti al cospetto di Tito, il Centurione scattava sull’attenti e Davide faceva automaticamente la stessa cosa. Il padiglione era spazioso e il pavimento in legno era coperto di soffici tappeti. Tito era in piedi, con diversi Ufficiali attorno. Non era alto e mostrava una leggera tendenza alla pinguedine, notava Davide, ma aveva in sé tutte le caratteristiche che contraddistinguono un capo: sguardo fiero e deciso, la voce ferma di che è abituato a comandare. Non era in uniforme ma indossava una ampia veste senatoriale. Tito,dopo aver squadrato attentamente Davide nella sua tuta mimetica, guardava distrattamente la grossa fondina che pendeva dal cinturone, assicurata con un legaccio di cuoio alla coscia destra.

Così tu saresti l’ebreo che parla latino, che respinge le frecce e a cui l’imperatore mio padre dovrebbe concedere la cittadinanza romana. Dimmi, chi sei veramente e quale sono i tuoi meriti per ricevere un tale onore? Parla e sii breve e sincero”.

Mi chiamo Davide Manasse, Generale. Sono nato a Roma dove ho studiato per molti anni. Sono tornato in Palestina per dare la possibilità al Legato Tito, figlio maggiore del grande Vespasiano, di acquistare fama imperitura attraverso me obbligando gli ebrei a stipulare una pace con Roma. Possiedo delle armi invincibili di cui sono in grado di mostrare, anche subito, la loro potenza così potrò essere creduto in quello che è il mio intento. Concedimi un po’ di attenzione e dimostrerò a te ed ai tuoi Ufficiali cosa sono in grado di fare per indurre il popolo ebreo a cercare la pace e non la guerra.

Tito ostentava un sorriso beffardo.

“Così tu da solo saresti addirittura in grado di assicurarmi la vittoria contro gli eserciti ebraici senza combattere. Tu da solo”, tuttavia si affrettava a dare disposizioni perché fosse fornito tutto ciò che Davide richiedeva per la sua dimostrazione. Poi aggiungeva:

“Attenzione, ebreo, se pensi di ingannarmi o di fuggire, sarai messo a morte tra le più atroci sofferenze.

Non ho nessuna intenzione di ingannarti, Generale, ma solo quella di servirti nell’interesse del mio popolo e di Roma.E te lo proverò tra pochi minuti”.

Davide chiedeva uno dei grossi pali di legno dove i legionari si esercitavano con le daghe, due capre destinate alla macellazione, alcuni elmi e scudi da disporre su altrettanti pali di legno, a due metri circa uno dall’altro. Poi domandava di essere coadiuvato da due dei migliori arcieri della legione. Tutto il materiale doveva essere approntato nel campo di addestramento del castra, posto al di fuori della recinzione.

Ultimati tutti i preparativi, Davide chiedeva la riconsegna dei due oggetti che gli erano stati sequestrati: il misterioso pezzo metallico e lo zaino.

 

 

Legionari romani all’interno del castrum della “Legione Fulminata”.

Intanto Tito, con il suo stato maggiore e molti Ufficiali della Legione si disponevano a bordo del campo. Davide pregava gli astanti di spostarsi alle sue spalle, poi, toltosi il giubbetto antiproiettile lo sistemava attorno ad un palo. Sugli altri due pali disponeva gli scudi e gli elmi e legava le due povere capre a un picchetto infisso nel terreno. Finite queste operazioni, Davide pregava i due arcieri di lanciare alcune frecce da distanze diverse sul palo dove aveva posto il giubbetto. Prima uno, poi l’altro, i due arcieri tiravano i loro dardi, tre per ciascuno, ma le sei frecce ricadevano al suolo spuntate senza penetrare il giubbetto che risultava appena scalfito nel rivestimento esterno. Tito e tutti i presenti manifestavano la loro profonda meraviglia e guardavano Davide con sospetto.

“Quale altra magia vuoi mostraci, Davide”, diceva Tito, vincendo la sua profonda sorpresa.

Generale, ora mostrerò a Te ed ai tuoi Ufficiali la potenza delle mie armi. Non vi spaventate se sentirete dei rumori che non avete udito prima, se non durante l’eruzione di un vulcano o durante un furioso temporale con tuoni e lampi. State sempre a distanza da me perché io stesso posso restare offeso dalle mie armi”.

Detto questo, Davide inseriva un caricatore da 20 colpi nel Tar-21 che gli era stato riconsegnato. Poi, imbracciatl’arma, sparava due colpi in rapida successione verso le capre che erano entrambe uccise da una pallottola nel cranio. Tra i presenti si alzava un urlo quasi unanime tra stupore e paura nello stesso tempo. Tito, pallido in volto, invitava comunque Davide a proseguire. Davide avanzava di quattro metri e sparava quattro raffiche sugli scudi e sugli elmi mandandoli in pezzi. A questo punto anche lo stesso Tito era decisamente impaurito tanto da chiamare intorno a sé la sua guardia personale. Molti Ufficiali avevano sguainato le daghe, altri si erano allontanati in fretta.

 

Ufficiali e Legionari impauriti avevano impugnato le armi.

Non abbiate paura, romani, sono i vostri ed i miei nemici che dovranno temere le mie armi, non i prodi legionari. Ed ora, con un’ultima prova, distruggerò tutto ciò che è stato sistemato sul campo. Prima portate via le due capre, altrimenti vi rovinerò la cena (timide risatine!) e recupererò il mio giubbetto. Prego tutti di farsi ancora più in dietro ma di non aver alcun timore se sentirete un rumore molto forte.”

Appena pronto, in un silenzio irreale, Davide estraeva dallo zaino una bomba a mano a frammentazione. A circa trenta metri dai pali, dopo aver tolto la sicura, lanciava la bomba, buttandosi contemporaneamente a terra, riparandosi la testa con l’elmetto. Sette secondi dopo la bomba esplodeva e dei pali, elmi e scudi non rimanevano che piccoli frammenti. Prima che Davide si rialzasse da terra, tutti gli spettatori, compreso Tito, erano fuggiti dal campo.

Davide recuperava in fretta il giubbetto antiproiettileindossandolo.

Caricava prontamente il Tar, dopo aver messo in tasca due bombe a mano. Non poteva sapere quale poteva essere la reazione dei 5500 uomini della XII Legione. Meglio essere pronto a difendersi ad oltranza.

Dopo una decina di minuti, molto lentamente e con fare circospetto, un vessillifero, con una bandiera bianca, con a fianco il Decurione Decio, lo stesso che lo aveva arrestato, si avvicinavano. Davide,alzatosi in piedi,deponeva il fucile a terra per dimostrare che non aveva cattive intenzioni ma contemporaneamente apriva la fondina della pistola.

Giunto ad alcuni passi da Davide, il Decurione con voce tremante diceva:

“Il Legato Imperiale Tito vuole vederti per farti delle proposte, ma tu mi dovrai consegnare il tuo tubo di ferro e lo zaino. Se non lo farai avrai addosso cinquemila uomini che ti faranno a pezzi nonostante il tuo potere magico”.

Riferisci al Generale che sarò lieto di ascoltare le sue proposte. Eccoti il mio zaino e il tubo di ferro. Non ho nessuna cattiva intenzione e sono vostro amico”.

Tolto il caricatore, Davide dava il Tar-21 al vessillifero insieme allo zaino. Si guardava bene di consegnare le due bombe che aveva in tasca e la pistola che comunque nessuno gli aveva chiesto. Fatto questo si affiancava ai due romani per recarsi dal Generale Tito.

Tito lo attendeva davanti al suo padiglione, circondato da una trentina di arcieri con la freccia incoccata.

“Ebreo, riconosco che fai delle magie stupefacenti che hanno molto colpito ed impressionato me e i miei Ufficiali. Se sei disposto a metterle a mia disposizione ti farò Tribuno e poi accompagnare Roma da mio padre con tutti gli onori per diventare cittadino romano e godere delle prerogative di questo status.Cosa ne pensi?” Però dovrai prima consegnarmi le tue armi.

Davide, ancora incerto se tutto quanto stava accadendo fosse un sogno od una imperscrutabile realtà, si affrettava a rispondere.

“Generale, non chiedo di meglio. E per dimostrare la mia lealtà ti consegnerò anche questo mio giubbetto che ti renderà invulnerabile a tutte le offese di freccia, lancia e spada portate sul tuo corpo, ad eccezione di testa, gambe e braccia. Dovrai fidarti di me e dirmi in quale modo posso esserti utile.”

Rassicurato e compiaciuto, Tito accettava il giubbetto e ordinava di consegnare a Davide un bellissimo gladiu che solo un alto ufficiale era in grado di portare. Poi invitava Davide ad entrare nel padiglione dove attorno ad un tavolo c’erano i comandanti a tutti i livelli della XII Legione. Sul tavolo era sistemata una grossolana mappa della zona.

“Davide, l’obiettivo della mia armata è la conquista di Gerusalemme ma l’impresa mi sta costando molto cara a causa della grande ribellione dell’anno passato che ha disperso e decimato le mie forze. Sto aspettando rinforzi etre legioni sono già in marcia per attuare l’accerchiamento di Gerusalemme, anche se la città è potentemente difesa.” “Tu con le tue magie potrai essere molto utile.

Mentre Tito parlava Davide rifletteva: era certamente l’anno 70 d.C., così come aveva studiato all’università durante le lezioni di storia antica. Vespasiano era diventato imperatore e il figlio Tito, che già aveva combattuto al suo fianco, aveva ripreso le operazioni militari in Giudea.Si accingeva a conquistare Gerusalemme. Tutto combaciava con quanto aveva appreso tranne una cosa: come mai lui, uomo del XXI secolo si trovava in mezzo a gente che aveva fatto la storia quasi duemila anni prima? Come era possibile che fosse tornato indietro in un passato che aveva coinvolto gli ebrei in una lotta senza possibilità di successo e che aveva determinato la diaspora ebraica dopo l’eccidio di Masada?

Ebreo, ti vedo distratto e pensieroso”, lo apostrofava Tito riportando Davide al presente” “No! Generale. Stavo soltanto pensando in che modo posso esservi utile. Voi mi definite un mago ma in realtà io sono un mortale come tutti voi e le mie armi sono limitate a quanto c’è nel mio zaino”.Detto questo, Davide apriva lo zaino e mostrava a tutti il suo contenuto. Quattro bombe a mano, cinque caricatori per il fucile d’assalto ed il binocolo. Avrebbe potuto dire che c’erano molte altre munizioni a circa un’ora dal castra, ma si guardava bene di rivelare dove la jeep era precipitata nel burrone e dove aveva lasciato il rimorchio carico di munizioni. Nel contempo non rivelava che aveva altre due bombe in tasca ed una micidiale pistola con diversi caricatori.

Penso che potrebbero essere sufficienti per spaventare il nostro nemico ed indurlo ad arrendersi, risparmiando a tutti morti e sofferenze” affermava Tito dopo un attimo di riflessione.

“Se questo sarà possibile, accetterò volentieri di aiutarvi, ma dubito che i difensori di Gerusalemme cederanno facilmente le armi anche dopo aver visto la potenza delle mie”.

“Molto bene, Davide, di questo discuteremo domani. Voglio crederti e ti metterò presto alla prova. Poi, rivolgendosi ai presenti, tornate tutti nei vostri alloggi perché domani sarà una giornata faticosa per smontare il campo ed approntarci per raggiungere il resto dell’armata prima che tramonti il sole”.

Tutti gli Ufficiali scattavano sull’attenti e dopo aver salutato si dirigevano verso l’uscita. Con Tito rimaneva Davide, il capo della sua guardia personale e un domestico. Rivoltosi a quest’ultimo Tito proferiva: “Chiama Miriam e fai accompagnare Davide nel suo alloggio nella tenda per gli ospiti del padiglione”, poi guardando Davide “dimmi cos’è quel contenitore di cuoio che ti pende dal fianco? Un’altra delle tue magie?

Sorpreso Davide rispondeva: “No, Generale. È solo un ricordo che io porto sempre con me da molti anni”.

“Ho capito, rispondeva Tito, “sarà il ricordo di una bella fanciulla. Conservalo pure. Ti nomino Tribuno. Non comanderai truppe ma sarai rispettato per il rango che ti ho conferito. Sento che posso fidarmi di te Buonanotte Tribuno Davide”.

 

Rincuorato dalle ultime parole di Tito, Davide, scattava anche lui sull’attenti mentre Tito procedeva verso i suoi alloggi privati.

Mai e poi mai si sarebbe separato dalla sua micidiale pistola che era l’unica arma, insieme alle due bombe a mano che ancora aveva in tasca, che avrebbero potuto aiutarlo in caso fosse costretto a fuggire. E, qualche istante dopo questa riflessione, preceduta da un fruscio di stoffe e da un dolce profumo di rose, una splendida fanciulla entrava nel salone delle riunioni.

“Sono Miriam, Tribuno. Devo condurti al tuo alloggio e sono a tua disposizione per qualsiasi tua necessità”.

La ragazza indossava una corta veste di seta che mettevano in mostra un paio di gambe tornite ed uno scialle rosso che nascondeva appena il seno ben modellato. Il viso era scoperto e bellissimo che metteva in risalto due meravigliosi occhi neri.

“Miriam, mormorava Davide, il tuo è un nome ebreo. Dimmi chi sei?”

“Si sono ebrea, una zelota, Tribuno, rispondeva la donna in ebraico. Ero una schiava di Vespasiano che mi ha lasciata a suo figlio Tito per i suoi piaceri ed ora devo servire te, per ordine del Legato Imperiale. Se mi segui ti porto nel tuo alloggio”.

Preceduto dalla bellissima fanciulla, Davide entrava in una spaziosa tenda, lussuosamente arredata, con un grande letto ed una vasca in rame per poter fare il bagno. Il pavimento in legno era ricoperto di pregiati tappeti e sui

tavolini, cesti di frutta, caraffe di acqua fresca e di vino, pane croccante e formaggi.

La bellissima Miriam.

 

“Desideri fare il bagno, Tribuno, prima di mangiare”? Senza nemmeno attendere una risposta Miriam batteva due volte le mani ed entravano quattro schiave con grosse anfore piene di acqua calda profumata alle rose. Immediatamente l’acqua veniva versata nella vasca mentre sul letto veniva depositata una candida veste e profumati asciugamani. Poi così come erano entrate le quattro donne si allontanavano in fretta.

“Spogliati Tribuno delle tue rozze vesti e lascia che sia io a lavare il tuo corpo affaticato.”

Nonostante lo sbigottimento e l’imbarazzo, Davide si toglieva la tuta dopo aver slacciato il cinturone e riposto la grossa pistola e le due bombe a mano sotto il letto. Il prezioso gladio lo poneva sul tappeto e, senza togliere gli slip, si immergeva nella vasca. Miriam gli si avvicinava con profumati saponi ed olii, chiedendo con un sorriso:

“Cosa è quel lembo di stoffa bianca che hai intorno ai lombi la cui foggia non ho mai visto?” Perché non lo togli in modo che io possa passare le mie mani su tutto il tuo corpo per ridargli vigore massaggiando tutti i tuoi muscoli? Sono molto brava sai e vedrai come ti sentirai bene dopo questo bagno tonificante”.

Miriam guardava il corpo atletico di Davide con ammirazione mentre questi esitava a togliersi gli slip.

Non ho mai visto un uomo con un corpo così atletico e proporzionato. Sei molto bello Tribuno e chissà quante donne te lo hanno detto”, esclamava Miriam mentre cominciava a massaggiare il collo e le spalle di Davide.

Davide, dopo tutte le vicende che erano seguite all’incidente, continuava a credere di sognare. Era in un campo romano, nel X secolo d.C., era stato nominato Tribuno dal Legato Imperiale di Roma Tito, dopo avergli mostrato cosa erano in grado di fare le sue armi. Ora si trovava in una lussuosa tenda, con cibi e bevande e una splendida schiava ebrea gli stava massaggiando il suo stanco corpo in una vasca piena di acqua calda e profumata. Pian piano la stanchezza e soprattutto le emozioni, il dolore per la perdita di Isaac prendevano il sopravvento, facendolo scivolare in un piacevole torpore.

Si risvegliava dall’incantesimo quando Miriam cominciava ad accarezzare le sue parti intime. Da quando era morta Leina non aveva avuto nessun contatto con una donna ed ora una bellissima e giovane ragazza era disponibile a dargli il suo corpo, forse perché glielo avevano ordinato.

“Miriam, sei molto bella e desiderabile. Lo avrai notato dalla mia reazione alle tue carezze, ma io non posso giacere con una donna, sia pure bellissima, senza provare amore. Ho perso da due anni colei che amavo più della mia stessa vita e da allora non ho più conosciuto nessuna donna. Non dispiacerti se rifiuto il tuo splendido corpo e ti ringrazio per tutte le premure di cui mi stai colmando.

Davide accompagnava queste parole con un rapido bacio sulle labbra di Miriam.

Ti capisco Tribuno e non sono offesa. Sei il primo uomo, da quando mi hanno reso schiava, che mi tratta come un essere umano e non come un oggetto da prendere e poi gettar via. Anch’io ero fidanzata con un ragazzo della mia tribù che è stato ucciso dai romani prima di catturami. Sono stata risparmiata forse perché sono bella, ma tu non immagini con quanti romani ho dovuto giacere fino a quando non sono stata notata da Tito. Ed ora sono la sua schiava sessuale. Dormi con me, ti prego, altrimenti domani mi fustigheranno”.

Preso per mano Davide, uscito dalla vasca, lo asciugava delicatamente e lo spalmava di olii profumati prima di avvolgerlo nella candida veste per poi farlo sdraiare sul soffice letto. Davide lasciava fare come intontito dalle carezze e dalla stanchezza. Miriam si sdraiava nuda al suo fianco continuando ad accarezzarlo, baciandolo teneramente sul viso e sul petto, fino a quando percepiva che l’uomo si era addormentato. Allora si raggomitolava accanto a lui e cedeva al sonno.

Davide si risvegliava dolcemente mentre dall’esterno giungevano rumori di armi e di equipaggiamenti in approntamento. Si girava su un fianco, accarezzando il corpo caldo di Miriam.

“Leina, amore mio! poi si ritraeva bruscamente, spalancando gli occhi:

Ma tu sei Miriam!”

“Leina è il nome che hai pronunciato molte volte nel sonno, Davide. È la donna che tu devi aver amato profondamente. Si! Io sono Miriam, la schiava ebrea che ha dormito al tuo fianco e che ora ti aiuterà a lavarti ed a vestirti perché tra poco Tito ti chiamerà”.

Dopo essersi coperta con il suo leggero costume, Miriam batteva due volte le mani. Le quattro schiave della sera prima, riapparvero con anfore di acqua calda e olii profumati.

Dopo il bagno e i sapienti massaggi di Miriam, Davide si rivestiva con i pantaloni della tuta, un camiciotto di cotone ed indossava una lorica segmentata con ricche decorazioni in oro che uno schiavo, nel frattempo, aveva portato presso di lui, aiutandolo ad indossarla. Subito dopo, Davide cingeva il cinturone con la grossa pistola, poneva in tasca le due bombe a mano ed appendeva il bellissimo gladiu al cinturino da portare a tracolla. Non aveva più il giubbetto antiproiettile che, la sera precedente, aveva donato a Tito. Lo zaino ed il fucile gli erano stati sequestrati prima di andare a dormire. Mangiava poi in fretta un pezzo di pane e del formaggio.

“Sei bellissimo, Tribuno Davide, mormorava Miriam ammirata, quanto è stata fortunata la donna che ha avuto il tuo amore”.

“Taci Miriam! Non riaprire una ferita che stenta a rimarginarsi. Chiederò a Tito che, in cambio del mio impegno militare, ti lasci tornare alla tua famiglia e, chissà, forse anche tu troverai l’amore che hai perso tragicamente proprio come me.

Portami con te, Davide. Sarò la tua schiava e vedrai che forse, nel tempo, potrò anche renderti felice”.

Questo non è assolutamente possibile, Miriam. Io non appartengo al tuo mondo e non so spiegarmi come mai mi trovo qui in mezzo a coloro che sono stati la causa della diaspora del popolo ebraico che da oltre millecinquecento anni viveva in questa terra.

 

Davide veniva bruscamente interrotto dall’ingresso del Decurione Decio che, dopo averlo salutato con rispetto, gli ricordava che nel giro di pochi minuti era atteso dal Delegato Tito. Usciva dalla tenda, preceduto dal Decurione, dopo aver dato un bacio sulla guancia di Miriam che aveva gli occhi pieni di lacrime.

“Salute Generale, sono qui per ricevere i tuoi ordini” pronunciava Davide giunto al cospetto di Tito, dopo aver assunto una rigida posizione di attenti.

“Salute a te Tribuno Davide”, rispondeva Tito, “anche se non hai centurie ai tuoi ordini sarai rispettato da tutti per il grado che ti ho assegnato. Ed ora, dimmi, hai riposato bene? La bella Miriam è stata una amante degna di te?”.

“Ho passato una notte incantevole, Generale. Anzi, vorrei chiederti se in cambio del mio aiuto tu puoi concedere a Miriam di tornare tra la sua gente. Tu puoi trovare donne ancora più giovani e belle e ti sarei veramente grato se mi concedessi questo favore”.

Consideralo già fatto”, rispondeva Tito, facendo un gesto di assenso verso il segretario, sempre attento agli ordini del Delegato, “ma ora parliamo delle prossime attività, in cui tu, Tribuno, potrai darmi il tuo magico contributo. La Legione si metterà in marcia prima del tramonto ma io la precederò con il mio Stato Maggiore, la mia guardia e con tutta la cavalleria di cui dispongo. Mi auguro che tu sappia cavalcare perché avrai un cavallo e sarai costantemente al mio fianco. Le tue armi magiche ti saranno consegnate quando ce ne sarà bisogno. E tutto chiaro? È inutile che io ti metta al corrente dei miei piani. Potrai intuirli da solo visto che mi hai detto di essere anche tu un soldato

“Bene Generale! Con il tuo permesso vorrei subito chiarire una cosa importantissima: non ucciderò nessuno dei miei compatrioti, cercherò soltanto di indurli alla resa con le parole o con la dimostrazione di cosa posso fare, esattamente come ho fatto con te, anche se dubito molto che, malgrado impauriti, gli ebrei si arrenderanno facilmente.

“Questo lo vedremo, Davide. Io non sono assetato di sangue e vorrei risparmiare ai miei uomini ed ai tuoi compatrioti tanti lutti. I miei soldati sono parte di me stesso e ne ho già persi troppi per le ambizioni di Roma. Se tu potessi indurre i difensori di Gerusalemme, dopo averli intimoriti con le tue potenti magie, a fare un trattato di pace sarei il primo ad esserne felice. Ho visto troppe pire funerarie. Vorrei che le perdite si riducessero al minimo”.

Dopo questo scambio di opinioni, Tito, la sua guardia e gli Ufficiali dello Stato Maggiore montavano a cavallo. A Davide era stato dato un robusto castrone grigio. Il gruppo raggiungeva un centinaio di cavalieri che si ponevano al seguito ed ai lati di Tito.

“Centurione Manlio, hai inviato degli esploratori?

“Si, Generale. La turma del Decurione Decio ci precede di alcune miglia e ci avvertirà tempestivamente di qualsiasi pericolo o minaccia. Anche sui fianchi ho distaccato alcuni esploratori così possiamo procedere in tutta sicurezza”

“Molto bene, Centurione. Mettiamoci in marcia”.

La cavalcata avanzava al piccolo trotto, sollevando della polvere, visibile a non meno di mezzo miglio di distanza.

Davide ascoltava in silenzio le disposizioni che di continuo Tito impartiva al suo Stato Maggiore. Dopo circa un’ora, un Ufficiale ritornava al castra con gli ordini per la Legione che doveva mettersi immediatamente in marcia.

“Tribuno Davide, conosci i capi della difesa di Gerusalemme? chiedeva Tito dopo aver messo il suo cavallo al passo.

“Si, Generale, ma solo di fama perché non ho mai avuto l’occasione di incontrarli” -come avrei potuto, pensava Davide. Sono vissuti quasi duemila anni fa! Poi considerando quanto aveva appreso nel corso di storia dell’Impero Romano, aggiungeva:

“So che il più agguerrito si chiama Simone bar Giora. Comanda circa diecimila uomini, più un folto gruppo di Indumei, forse cinquemila, che non hanno mai lasciato la città. Vi è poi Giovanni di Giscala alla testa di seimila zeloti. So che tra i Comandanti e molti Ufficiali non corre buon sangue e non concordano su come difendere la città dall’attacco romano. Penso che Giovanni difenderà la posizione più forte della cinta mentre Simone proteggerà un’area molto più vasta e meno forte”.

Vedo che conosci molto bene la situazione delle forze in camporispondeva Tito, ma non poteva aggiungere altro perché in quel momento due cavalieri di quelli inviati in avanscoperta stavano arrivando al gran galoppo verso il gruppo.

“Cosa succede?”, proferiva Tito, non appena i due cavalieri, fatto piede a terra e si avvicinavano di corsa al Generale.

Generale, abbiamo sorpreso un gruppo di ebrei armati accampati a circa quattro miglia da qui. Sono una quarantina. Il Decurione Decio chiede un rinforzo di venti cavalieri per distruggere o catturare parte del gruppo, che secondo lui sono degli esploratori poichéhanno tutti un cavallo.”

Centurione Manlio, prendi trenta uomini e cattura il maggior numero possibile di nemici. Voglio interrogarli. Va!esclamava Tito, ed immediatamente gli uomini partivano in una formazione molto ampia per cercare di farsi notare il meno possibile.

Facciamo una sosta, diceva Tito, e portate del vino.”

Immediatamente da uno dei carri delle vettovaglie, partivano alcuni servitori portando coppe ed anfore di pregiato vino.

“Bevete con me, signori ed attendiamo le novità dal Centurione Manlio”

Dopo circa un’ora, un drappello di cavalieri romani, guidati dal Centurione, arrivava al galoppo.

Che novità. Centurione? esclamava Tito, con una certa impazienza nella voce.”

Il gruppo nemico è stato annientato, Generale. Abbiamo catturato cinque uomini e tra questi presumibilmente c’è il loro capo. Ho perso tre cavalieri e quattro sono rimasti feriti in modo non grave”.

Molto bene, Centurione Manlio. Ti sei meritato un premio. Ma ora raggiungiamo i tuoi uomini perché voglio personalmente interrogare i prigionieri, con il tuo aiuto Davide. Andiamo a soccorrere anche i feriti”.

Detto questo, Tito spronava il suo cavallo e tutto il seguito si metteva in movimento.

Dopo circa mezz’ora, il gruppo capitanato da Tito, giungeva in vista dell’accampamento nemico. Alcuni legionari stavano seppellendo i morti, altri tenevano sotto stretta sorveglianza i prigionieri. I cavalli dei nemici erano stati raggruppati ed impastoiati.

Tito, smontato da cavallo, seguito da Davide e da alcuni uomini della sua scorta personale, si dirigeva subito verso il gruppetto di prigionieri, strettamente legati. I legionari scattarono sull’attenti alla vista del loro Generale.

“Davide, mi servirò del mio scarso ebraico per l’interrogatorio. Ti prego di intervenire per controllare soprattutto le risposte”.

Poi rivolgendosi al prigioniero che aveva l’aspetto di un capo, gli chiedeva bruscamente:

“Chi sei? Chi siete? Cosa fate a 50 miglia da Gerusalemme? A quale esercito appartenete?”.

Il prigioniero sembrava non voler parlare o perlomeno non capiva lo stentato ebraico di Tito. A questo punto interveniva Davide.

Sono un ebreo come te. Nessuno ti chiede niente di più di quello che già il Legato Tito non sappia. Ti prego dimmi il tuo nome e come mai sei così lontano dalla nostra città santa.

Con gli occhi sgranati per lo stupore, l’ebreo rispondeva:

“Sono Eban, un Ufficiale di Simone bar Giora. Ero in questa zona per sorvegliare la XII Legione. Nessuno credeva che fosse già in marcia contro di noi. Il mio comandante non ha alcuna paura dei romani e disponiamo di un grande esercito che ributterà in mare Tito e tutte le sue Legioni. Ma cosa ci fai tu, un ebreo istruito, in mezzo a questi cani che ci vogliono distruggere. Sei un traditore del tuo popolo?

Tito, impaziente di conoscere cosa si erano detti i due, chiedeva spiegazioni a Davide. La sua traduzione in latino era però accortamente corretta.

“Generale, è un Ufficiale del tuo più acerrimo nemico, Simone bar Giora. Era in avanscoperta come lo siamo noi. È stato attaccato di sorpresa ed ha perso 26 uomini del suo gruppo. Alcuni prigionieri sono feriti e chiede per loro la tua clemenza”. “D’accordo, che siano curati, ma voglio sapere di più da quest’uomo, altrimenti lo faccio crocifiggere.”

Va bene Generale. Proverò ancora.

Dopo pochi minuti di colloquio, Davide riferiva:

“Generale! Penso che quest’uomo si farà uccidere ma non parlerà nemmeno se lo farai torturare. Io ho però una idea.

Con il tuo permesso, suggerirei di dare a lui ed ai superstiti una dimostrazione della potenza delle mie armi.Subito dopo, mandali a Gerusalemme a riferire che Tito è invincibile perché possiede una potente forza magica che gli consentirà di distruggere Gerusalemme ed i suoi difensori se rifiuteranno di arrendersi.Non pensi che ne varrebbe la pena?

“Mi sembra una ottima idea, Davide. Facciamo come tu dici. L’uomo mi sembra intelligente ma anche molto impaurito. Procedi pure”.

 

GERUSALEMME nel 70 d.C.

 

Davide si faceva restituire il fucile e lo zaino. Poi sceglieva tre dei cavalli degli ebrei che mostravano vistose ferite e che dovevano essere abbattuti per evitare loro inutili sofferenze. Li faceva legare ad un unico palo. Subito dopo raccomandava a tutti i romani di allontanarsi, di scendere da cavallo e di tenerli strettamente per le redini perché si sarebbero sicuramente imbizzarriti. Faceva arretrare anche Tito e il suo Stato Maggiore ma poneva accanto a sé Eban, l’ebreo prigioniero, perché vedesse da vicino cosa era capace di fare.

 

Eban e altri due prigionieri guardano stupiti Davide.

 

Caricato il fucile e presa una bomba a mano, imbracciava l’arma. La prima raffica uccideva i tre animali che stramazzavano al suolo. Eban, terrorizzato esclamava:

“Chi sei tu? Un mago. Come hai fatto ad uccidere tre cavalli da questa distanza?”

“Ancora non hai visto niente Eban. Adesso vai dieci passi indietro, sdraiati a terra e non ti muovere. Voi romani, fate attenzione ai cavalli perché il rumore che sentirete sarà molto forte.”

Presa una bomba dallo zaino la disponeva vicino agli animali morti. Poi dopo essere retrocesso, lanciava un’altra bomba da circa trenta passi, gettandosi contemporaneamente a terra.

L’esplosione fortissima delle due bombe faceva a pezzi le povere bestie, lanciando a distanza le loro membra dilaniate. Dopo che i cavalli dei legionari si erano ripresi dallo spavento con i loro cavalieri, Davide prendeva per un braccio il terrorizzato Eban e lo conduceva vicino al luogo dell’esplosione, sorreggendolo perché le gambe gli tremavano vistosamente.

“Hai visto cosa è in grado di fare il Generale Tito ai nostri compatrioti se non depongono le armi e non vengono a patti per discutere la pace?”

Rivoltosi a Tito, molto scosso per tutto ciò cui aveva assistito:

Diamo a questi uomini i loro cavalli e mandiamoli a Gerusalemme, Generale. Saranno in grado di descrivere quanto hanno visto e penso che appoggeranno la proposta di una resa onorevole della città.”

“Buona idea, rispondeva Tito, dategli i cavalli ma non le armi e lasciateli liberi”.

Appena montato a cavallo, Eban si scagliava con la sua cavalcatura contro Davide gridando:

Traditore, non ci arrenderemo mai”! simultaneamente colpiva Davide con un potente pugno al volto facendolo stramazzare al suolo.

Le ultime parole che Davide udiva prima di svenire era la voce di Tito che gridava ai suoi:

“Uccideteli tutti!”

 

4.IL RISVEGLIO

“Dottore! Dottore presto venite sta aprendo gli occhi.”

In quel preciso istante, Davide si guardava stupito attorno. Era in un letto d’ospedale e sopra di lui c’era il faccione sorridente di Isaac.

Isaac, mormorava Davide, sei vivo o sei un fantasma! Ho visto il tuo cadavere sotto la Jeep e sono scappato terrorizzato per chiedere aiuto. Come è possibile tutto questo?

“Caro il mio Tenentino. Ero solo svenuto e mi sono tirato fuori con le mie braccia, ma quando sono risalito sul sentiero tu non c’eri più. I nostri, allarmati, erano venuti a cercarci ma hanno trovato solo me. Dove eri andato a finire?”

Davide invece di rispondere chiedeva:

“Dove sono? Cosa è successo?”

Il giovane dottore, che aveva osservato attentamente il risveglio di Davide, rispondeva:

“Sei nell’ospedale da campo della nostra Brigata”. Sei stato quattro giorni in coma prima di riprendere conoscenza, Come ti senti? Ho dovuto ricucirti la testa ed hai un vasto ematoma su uno zigomo come se tu avessi ricevuto un forte colpo”.

Isaac, impaziente di avere dettagli sull’accaduto, interveniva prima che Davide potesse rispondere al dottore.

“Prima che te lo chiedano i nostri superiori devi dirmi cosa ti è successo e dove sei stato. Quando ti hanno trovato, a circa 50 miglia da Gerusalemme, senza le tue armi e il giubbetto antiproiettile.

Al suo posto indossavi quella preziosa corazza e al fianco avevi una bella spada romana, Dove hai preso questi cimeli perfettamente conservati che sono su quella sedia e, soprattutto, chi è Miriam? Ti ho trovato in tasca un piccolo rotolo di una strana carta, sembra pelle di pecora, sul quale c’è scritto: Grazie Davide per avermi dato la libertà. Shalom! Miriam.”

“È una storia che ricordo a malapena ma alla quale tu né nessun altro crederete mai,” rispondeva Davide.

“C’è dell’altro, aggiungeva Isaac. “Durante il coma hai mormorato più volte: “Non sono un traditore, Eban, voglio cambiare la storia ed impedire l’esodo ebraico dalla Palestina. Dimmi chi è questo Eban”? Se vuoi che questa volta sia io a tirarti fuori dai guai bisogna che tu mi racconti per filo e per segno tutto quello che ti è accaduto”.

“Ricordo molto poco Isaac e sono molto stanco. Ti prego lasciami riposare ancora un po’. Devo aver avuto un incubo perché ho sognato di essere ritornato in un passato molto lontano. Ma forse non era solo un sogno.” Non crederesti mai a quanto mi è accaduto.

Tu e chiunque altro mi credereste un pazzo”.

Prima di chiudere gli occhi, Davide gettava uno sguardo alla sedia dove c’era appoggiata la lorica romana e il gladio che lo stesso Tito gli aveva consegnato nominandolo Tribuno.

 

La preziosa Lorica indossata da Davide.

Il Gladio donato da Tito a Davide.

 

Ciò che vedeva era la dimostrazione che il suo non era stato un incubo. Aveva realmente vissuto un breve periodo di storia ebraica di ben duemila anni prima. Una realtà che non sapeva spiegare a sé stesso, figuriamoci se poteva farlo ad altri. E mentre pensava a tutto quanto era accaduto, si addormentava con nel cuore la segreta speranza di sognare ancora l’assurda vicenda di cui lui, uomo del XXI secolo, era stato, suo malgrado, uno dei protagonisti.

 

A volte, passando per la prima volta in un luogo assolutamente ignoto non avete provato la sensazione di averlo già visto, di esserci già stato? Non vi è mai capitato di vedere una persona, un volto e pensare la stessa cosa, scervellandovi dove potevate averla incontrata o conosciuta? Altre volte, dopo aver letto un libro o visto un film che vi ha affascinato, non avete sognato di avere avuto anche voi una parte in quell’epoca e in quell’ambiente?

Credo che ciascuno di noi abbia provato almeno una di queste sensazioni nel corso della propria vita. Ed allora, perché non dar ragione a Freud e cioè che la psiche può originare misteriosi processi inconsci? E questo può avvenire in special modo quando si è vittima di quel trauma che la scienza medica definisce “coma” ma del quale non ha mai saputo dare delle convincenti spiegazioni sul perché della perdita di coscienza, sensibilità e motilità, permanente o temporanea, nemmeno dopo il risveglio e il ritorno al presente?