di Nunzio Seminara
A metà giugno scorso, un alto ufficiale del nostro Esercito con incarico di vertice nella N.A.T.O., a margine di una conferenza, ha affermato che in tutti i paesi europei del versante est, dall’Italia all’Austria, ai balcani, alla Germania, al Belgio, alla Germania, all’Ungheria e così via, non hanno infrastrutture civili idonee alla mobilità dei mezzi militari.
Tanto porta a considerare che alla ripresa delle produzioni industriali delle ami occorre affiancare quelle delle costruzioni civili, infrastrutturali e, naturalmente, la ripresa delle manifatture afferenti.
In “soldoni”, gli 800 miliardi di fondi europei destinati “al riarmo”, per quanto si dovrebbe dire “all’ammodernamento” della Difesa nei singoli paesi, non possono non prevedere opere nei territori europei che, “guerra o non guerra”, perché sono necessarie al naturale processo di revisione e di ristrutturazione dei servizi primari e secondari delle città e delle aree metropolitane.
Ovvero, strade ferrate (ferrovie), porti fluviali o marittimi, ponti. Ed ospedali attrezzati per attività sanitarie, specializzate e protette. In parole povere, i ben noti, ahinoi !, ospedali da campo, di cui i viaggi dei reporter di guerra parlano.
Eccetera, eccetera.
Ponti e guerre? La pubblicistica della Storia partirebbe, ad esempio da qualche episodio noto, dove nei pressi di Ponte Milvio a Roma, nel 312 p.C., proprio il prossimo 28 ottobre, vide la vittoria definitiva di Costantino contro Massenzio e da qui la conclamata conversione di Roma alla religione cattolica.
Ponte di Goito? Chi legge il nostro Risorgimento, in particolare la prima guerra d’Indipendenza dove, se nel 1848 fu persa, lo scontro avvenuto nei pressi del fiume Mincio, dalle parti di Goito, ebbe vincitori piemontesi sulle forze austriache, anzi e meglio, fu il battesimo del fuoco dei Bersaglieri di Alessandro La Marmora costituiti dodici anni prima nel 1836.
Bassano del Grappa?, Il famosissimo ponte in legno sul fiume Brenta, progettato da “un certo” Andrea Palladio, ponte ancora vivo (continui restauri sempre attenti), dove “… noi ci darem la mano….”, come da celeberrima canzone che immortala col fiume l’Architetto e Bassano, ma forse ed ancor più la grappa….
“Ponte Nostrum”, ormai da definire così quello “dello Stretto”, che ormai sembrerebbe nostro, cioè “Nostrum”, perché è disegnato fra due sponde del “Mare Nostrum”. Disegnato in quanto, pur essendo nell’ultima fase della realizzazione progettuale, per tutti è disegnato fin tanto che non verranno messe in cantiere le prime opere.

Sezione del ponte sullo stretto di Messina, il “Ponte Nostrum”
Farebbe questo ponte, collegando la terra ferma alla Sicilia, avvicinare persino le coste africane all’Italia? Bah!, sarebbe un po’ romanzo d’Urania!
Ma qualcosa così impegnativa era stata già disegnata, il ponte da Zara ad Ancona.

Ponte disegnato dall’Architetto romano Giorgio De Romanis, poco più di vent’anni fa.
Il disegno, enfasi tecnica del pensiero architettonico, ebbe uno sviluppo anche abbastanza approfondito fino ad essere “fattibile” costruttivamente, con le sue campate alte circa 70 metri sull’acqua, con coppia di piloni alternate di 250 metri per 450 volte, che avrebbero attraversato l’Adriatico per il collegamento veloce fra l’Italia ed i paesi balcani, cioè verso il centro Europa.,
Ipotesi che avrebbe sviluppato i percorsi commerciali e privati saltando le molte difficoltà che il territorio, nel senso più vasto della parola sempre sollevano, dalle “tappe” amministrative ai consensi delle cittadinanze lungo aree geografiche “tortuose”, non solo nel dover superare problemi geofisici, ma anche quelli ambientali, sia nelle “stanze di compensazione” delle cittadinanze e, sempre vigili, delle Sovrintendenze ai Beni Culturali. Naturalmente anche quelli della probabile criticità, anzi certa, del proliferare di associazioni “ad opponendum” più o meno spontanee, più “meno che più”…., che si sarebbero “offese” dal nuovo sky line sul mare.
Progetto costosissimo. In quegli anni si parlava di circa 80 milioni di euri.

Sezione del ponte dell’arch. De Romanis
Non a caso era ipotizzato un forte contributo dei capitali cinesi, in quegli anni assai interessati ed anche “invasivi” nei nostri mercati. Oggi sempre interessati, ma non favorite dalle relazioni politiche per le vicende che affliggono altre stanze, quelle della politica internazionale.
Ponte che nell’ottica del potenziamento degli armamenti necessari per le infrastrutture militari avrebbe avuto, ed avrebbe sempre, una interessante utilità, forse debole dal punto di vista “tattico militare”, perché abbattere un pilone sarebbe semplice per interrompere così la linea dei collegamenti dei mezzi di “armigeri”.
Infatti, basterebbe un piccolo drone e tutta la strategia dei “capi”, oltre quelli dalle tante stellette quelli “impositivi” e primari della regia politica, si dissolverebbero con un piccolo scoppio.
Tra l’altro, stessa ipotesi per il “ponte Nostrum” anzicitato, cioé quello tra la terraferma e la Sicilia, è stato recentemente citato come la possibilità di un eventuale trasporto militare, formula politica subito stoppata dal vertice europeo. Freno alla ipotesi di fondi europei anche come infrastruttura militare, esprimendo forse un disimpegno dalle discussioni non tecniche perché soprattutto politiche nostrane. Ma sarebbe semplice supporre che quei fondi non sarebbero da sottrarsi al budget previsto per l’Italia in quello stanziamento di 800 miliari di euro, con beneficio per le spese da destinarsi ad altre infrastrutture. O no? “Stop” politico che favorirebbe invece maggiori contributi per l’Italia!
Comunque, fra queste, emergenze primarie sarebbero anche i servizi ospedalieri, sempre assai impegnati in periodo di guerra.
Ricordiamo che l’unico ospedale militare in Italia è quello romano del Celio, nel quartiere Esquilino, quasi un affaccio simbolico sul Colosseo, dove si svolgevano scontri cruenti fra gladiatori, persino con belve feroci. E proprio al quartiere Esquilino il servizio del Celio si è aperto anche alla città ai primi anni del 1970.
Certamente, le attrezzature più interessate sarebbero quelle dei “pronti soccorsi”. Perché i più direttamente coinvolti in stato di emergenze, se oggi quelle civili, chissà quando, vicino o lontano (meglio il più lontano possibile!), potrebbero essere nelle allerte di guerra. Guerra? Ma forse si sta valutando con leggerezza il panorama politico europeo che il conflitto fra Ucraina e Russia ha generato, tanto da attivare improvvisamente le emergenze ospedaliere nei paesi più importanti. E non a caso, come afferma recentemente Il Sole 24 Ore, giornale tecnico informatissimo, in Italia, dove si sarebbero attivati Palazzo Chigi, il Ministero della Difesa e il Ministero della Salute.
Analoghe attività sono state promosse, quasi in sordina, negli altri paesi europei. Ad esempio, in Francia si sta provvedendo, citando il settimanale Le Canard Enchainé, a strutture in grado di accogliere “soldati feriti”, persino da 60 a 100 soldati al giorno al giorno, fino addirittura a 250 soccorsi al giorno per tre giorni consecutivi, nella prospettiva di vasti scenari di guerra ed anche di centri regionali di assistenze sanitarie per lo smistamento di militari “al rientro dal fronte” (quale?).
In Germania analoghe iniziative sono state adottate secondo le esigenze NATO (“Piano quadro per la difesa civile degli ospedali” redatto, guarda caso, con la collaborazione di esperti militari …..), tra l’altro Berlino, per la sua ubicazione è un polo importante logistico, non solo per le apprensioni ormai diffuse ovunque della apertura di un possibile fronte orientale in guerra, parafrasando il tema di un famoso film di qualche decina d’anni fa (1930), “all’ovest qualcosa di nuovo” ….!!
In Italia?
Sì la guerra si fa in modo figurato. A parole? Quelle scritte sulla carta stampata, tanto per scrivere? O quella di altri che si dice per conto degli altri ancora? Non sembrerebbe.

Vetrina bizzarra, ma non troppo
Come già anticipato, il nostro paese non sembra che sia “un allegro Paese”, dato che quattro mesi fa, da Palazzo Chigi e Ministero della Difesa, di concerto con il Ministero della Salute, è stato aperto un “tavolo permanente in materia di resilienza di soggetti critici”, strategia aperta, per l’appunto, anche ai nuovi scenari di guerra.
Intanto forse, detto e scritto in sordina, sono allertate le strutture sempre più vigili ed attrezzate per le emergenze, quelle della Protezione Civile, già presenti con le strutture istituite nei territori, adeguati in conformità agli strumenti urbanistici che prevedono e prescrivono le loro sedi, mentre gli “addetti allo scopo”, ossia alla guerra, cioé i militari, sembra che si stiano preparando in fretta.
Infatti i cittadini non riflettono sul perché il Capo di Stato Maggiore della Difesa sia un Bersagliere pieno di decorazioni non a parole, con ferita vera “sul campo” di peacekeeping, ovvero di guerra vera camuffata nel gergo buonista come “peace”, anche lui para’, ed il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Paracadutista che in Afghanistan chiamavano “dimonio”, trasforma ogni mese da due anni i Comandi dei reparti più importanti ai quali assegna Comandanti prevalentemente altri para’.
Guerra? Lo scenario al quale assistiamo negli ultimi anni è tragico. Drammatico. Dai “fatti di Gaza”, nel tema infinitamente controverso ed interminabile dei conflitti in Medio Oriente, alla riscoperta e reinvenzione delle trincee ucraine. Oggi, il continente europeo sembra appena sfiorato nel suo territorio.
Appena sembra. Solo per ora.
