COME SU PIEDIGROTTA

di Antonio Urbano

La notte di Fuorigrotta

Mentre a bordo dei nostri Tornado attraversavamo il confine, ho pensato che, entrando nel Kuwait Theater of Operations per una missione operativa reale, stessimo scrivendo una nuova pagina nella storia della nostra forza armata. Sarebbe stata una pagina scritta con l’inchiostro rosso, il colore che si usa per riportare sui libretti di volo le missioni di guerra e che dal 1945 non era stato più usato.

 

Era la sera del 20 gennaio 1991. Eravamo decollati da Al Dhafra nel tardo pomeriggio, in una strana luce crepuscolare che rapidamente avrebbe lasciato il posto ad un buio assoluto di notte senza luna. Testimoni del nostro rullaggio verso le piste di decollo, reso lento ed ondeggiante dall’elevato peso del carburante e dell’armamento, erano tutti gli uomini della missione Locusta assiepati lungo i raccordi. I loro volti tesi e silenziosi sembravano chiederci un riscatto per la sfortunata missione di due giorni prima nella quale avevamo perso un Tornado. Dei nostri colleghi ed amici Bellini e Cocciolone ancora nessuna notizia.

Antonio Urbano, al 3° anno della Nunziatella davanti al mare del Golfo,

quello italiano per eccellenza, dove i fuochi di Fuorigrotta illuminano

cielo e mare

 

Di quella silenziosa partecipazione ne avevamo proprio bisogno, anche se proprio il doverci confrontare con le notizie di colleghi dispersi o prigionieri, velivoli abbattuti, missioni nel complesso fallite aveva già trasformato in lucida determinazione e autentico coraggio quella forma di entusiasmo che scaturiva dalla coscienza di dover, infine, dimostrare le capacità professionali acquisite in lunghi anni di addestramento.

Questa volta la formazione era composta da sette velivoli. Tre dei Tornado dovevano svolgere il ruolo di rifornitori buddy-buddy, cioè tra velivoli dello stesso tipo, e quindi rientrare. Gli altri quattro avrebbero dovuto proseguire verso un’area in Arabia Saudita dalla quale, dopo aver effettuato un nuovo rifornimento da velivoli KC135 dell’USAF, sarebbero penetrati nel territorio kuwaitiano invaso dagli iracheni, per colpire il posto comando ed i depositi della ventesima divisione meccanizzata dell’esercito. Di quella formazione ero leader, assistito dal navigatore Loris Giusti. Sul velivolo numero due c’era Roberto Lamanna detto “Bruce”, con il suo navigatore Piero Mombelli Mombo, tutti Pantere del mio 155° Gruppo. Sui velivoli dell’altra coppia d’attacco c’erano le Linci del 156°, Giampiero Sanfilippo con Mauro Marzola e Nicola Lanza De Cristoforis con Paolo Latini.

Sin dalla pianificazione avevamo avvertita, pressante, l’esigenza del “riscatto” dopo la delusione del 18 gennaio. Eravamo convinti di saper far bene e di essere stati vittime solo della sfortuna due notti prima. Questa voglia di riscatto era la voglia di tutti i trecento uomini del distaccamento e creava un’atmosfera che percepivamo a livello inconscio, ma che divenne ben presto vera e propria sensazione fisica.

Questa volta eravamo stati inseriti nella pianificazione operativa sin dall’inizio, ed avevamo avuto modo di acquisire con maggiore calma i dati relativi all’obbiettivo, le procedure operative per l’eventuale recupero di equipaggi e le altre informazioni vitali. Secondo l’intelligence, il bersaglio era difeso da artiglieria antiaerea (triple A dall’acronimo inglese AAA Anti Air Artillery) e da missili guidati di fabbricazione sovietica SA-2 Guidelineed SA-8Gecko; in compenso, l’esperienza dei primi giorni ci dava maggiore tranquillità sull’assenza della caccia nemica. Questo ci permise di pianificare un attacco a media quota (poi divenuto standard) rinunciando al profilo di volo a bassa quota della prima missione, tipico del velivolo Tornado. Sopra di noi avrebbe volato una coppia di Wild Weasel, due Phantomamericani armati per la soppressione delle difese aeree nemiche (SEAD).

Il Presidente della Repubblica

Francesco Cossiga

 

IN AEREOPORTO MILITARE

decora Antonio Urbano con la stella dell’Ordine Militare d’Italia

la massima decorazione al Valore Militare

Ci recammo ai Tornado a piedi, per scaricare l’ultimo residuo di tensione. Fu allora che notammo come in linea di volo ci attendesse una folla, invece della ventina di specialisti che avrebbe dovuto essere presente: se avessimo avuto il tempo di contarli, avremmo sicuramente verificato la presenza di tutti i trecento uomini del nostro distaccamento. Molti, quasi imbarazzati, incrociando i nostri sguardi fingevano di svolgere una qualsiasi attività, ma in realtà volevano solo testimoniarci, con la loro presenza e con il loro incredibile silenzio, la loro solidarietà.

Il decollo a pieno carico e massima spinta andò bene. Due giorni prima, a questo punto, avevo dovuto abortire la missione per il mancato rientro del carrello e mi ero sentito defraudato ingiustamente di qualcosa che sentivo appartenermi. In quel momento l’istinto mi aveva fatto desiderare di annullare la missione per tutti, ma non sarebbe stato né corretto né giusto. Avevo anche tentato di riciclare il carrello oltre il consentito e poi di accelerare l’atterraggio per usare un aereo di riserva. Ma lo aveva già preso un altro equipaggio, ed ero rimasto a terra. Questa volta, invece, tutto bene per tutti. Ben presto il carburante del Tornado di Gio’ Favero “Naso” prese a scorrere attraverso il tubo del suo buddy-buddypod per riempire “a tappo” il nostro serbatoio e quello del Bruce, nel frattempo “Bobo” Belgrado sorvegliava le operazioni dal suo Tornado di riserva buddy-buddy e, accertato il successo dell’operazione, scivolò indietro per assistere le due Linci che stanno completando il rifornimento dal Tornado di Valter Pauselli. Poi i tre rifornitori ci lasciarono.

 

Tornado in missione

Un’ora più tardi Loris mi confermava che eravamo prossimi all’area “Lemon” e dopo aver ascoltato sulla frequenza RED4 gli aggiornamenti della missione da parte di “Ponca”, il velivolo AWACS che controllava le operazioni, avvistammo il KC-135 americano che, con i tubi già estesi secondo la procedura Silent, ci attendeva per darci il carburante necessario al Run In in zona di operazioni.

Tutto bene anche qui, salvo…. Allarme! Improvvisamente si accese una spia rossa e partì un suono penetrante e periodico che indicava l’illuminazione da parte di un radar nemico: un SA-6 Gainful. Ma come era possibile? Eravamo in pieno territorio amico! Dopo una breve scarica di adrenalina subito la risposta all’enigma: nell’area erano presenti forze siriane appartenenti alla coalizione. Doveva essere un loro sistema mantenuto in trasmissione. Non dovevamo reagire. Completammo il rifornimento accompagnati da una musichetta non proprio rilassante!

Con Loris, il mio navigatore, abbiamo anche un momento per riflettere su cosa stesse succedendo in quel momento in Italia: i giovani in discoteca, le famiglie davanti alla televisione … Che differenza fra questo limitato conflitto e la seconda guerra mondiale, l’ultima affrontata dal Paese ormai quasi mezzo secolo fa, quando tutta l’Italia era in prima linea, con le città e le campagne esposte quasi quanto i combattenti sui fronti più remoti! Quella notte eravamo solo noi otto e questo ci faceva sentire ancor di più sul palcoscenico, pronti per lo spettacolo.

Sorvolammo il deserto nel buio sempre più assoluto, in una lunga fila indiana, spaziati di un paio di miglia e una trentina di secondi lungo un corridoio di penetrazione piuttosto stretto. Erano spente persino le luci stroboscopiche sulla punta del timone, estreme compagne dei nostri voli notturni. Due anni prima, sorvolando il deserto del Nevada nel corso dell’esercitazione Red Flag, mi ero sorpreso a chiedermi quale rapporto potesse esservi tra quell’arido ambiente ed i teatri nei quali saremmo stati eventualmente chiamati ad operare in caso di conflitto. “E invece, Loris, il Muro è crollato, e noi ora siamo in volo su questo mare di sabbia e di buio…”

Antonio Urbano ai comandi

Improvvisamente, la notte si illuminò, riempiendosi di enormi nubi sfolgoranti che venivano su e ricadevano giù. Ci ho messo veramente un bel po’ a capire che si trattava delle pallottole traccianti della triple A irachena che, sparando all’impazzata, dava vita ad un qualcosa di molto simile ad uno spettacolo pirotecnico tipo Piedigrotta. Più di qualcuno laggiù voleva cancellarci dal cielo, anche se non potevano essere visti, ma il fascino e la sorpresa per lo spettacolo prevalevano sul timore di essere abbattuti.

“Loris ti stanno sparando!”

“Ma perché solo a me? E a te?”

“Sparare a me!!! Non si permetterebbero mai di farlo!”

Per la prima volta mi venne spontanea questa battuta che avrei ripetuto diverse altre volte nei giorni successivi, osservando nuvole di contraerea o scie di missili dirette verso di noi.

Anche in questo caso una reazione sarebbe stata inutile, gli iracheni sparavano senza ausilio di radar o limitandosi a brevissime “spazzate” dalle quali estrapolare la direzione presumibile dell’attacco senza esporsi al lancio di un missile Harm da parte di uno dei nostri Wild Weasel. Il primo cannoniere ad avvistare o udire l’aereo nemico iniziava a sparare, trascinandosi dietro le altre batterie, ciascuna delle quali saturava la zona assegnatale. Il frastuono dei “botti” arrivava fin dentro l’abitacolo. Il paragone con la festa di Piedigrotta era veramente azzeccato.

Ma ecco le prima minaccia radar sul nostro avvisatore RVR.

“SAM2 ore 12”

l’addestramento consegnava i suoi frutti e le nostre voci contemporanee si sovrapposero al suono dell’RVR.

ChaffChaff

Una breve salva di chaff per ingannare il radar di guida ed una piccola deviazione di rotta. Non è un radar di tiro ma solo di ricerca rimasto acceso per pochi istanti.

“Hanno paura dei Wild Weasel, non ci lockano, rientramo in rotta”

Ed ecco intorno a noi aprirsi nel cielo, ormai illuminato a giorno, i grandi fiori bianchi dell’artiglieria contraerea da 106mm, che raggiungeva quote più elevate, al di sopra delle nuvole di traccianti di piccolo calibro.

Intanto, eravamo arrivati nell’area di sgancio. Poiché l’obbiettivo era privo di forti rilievi o strutture importanti, il suo ritorno radar era molto debole, per cui il rilascio delle nostre Mk 82, ordigni tradizionali non di precisione, venne fatto in massima parte affidandoci al sistema di navigazione, e quindi sulle coordinate. Ci rassicurava sapere che, in caso di lievi scostamenti, le bombe sarebbero finite comunque su un bersaglio valido, essendo l’area completamente saturata da istallazioni e mezzi militari, con totale assenza nel raggio di decine di chilometri di insediamenti civili e quindi con rischio di “collateraldamage” pari a zero.

Mentre effettuavo la virata di scampo ecco di fronte a me la fiammata e la scia di un SA-2, sicuramente lanciato dal sito che poco prima ci aveva illuminato. Anche in questo caso la sorpresa di veder volare un missile così grande (più di 10 metri) che avevo visto e studiato per anni solo in fotografia, prevalse sulla preoccupazione.

“SAM Launch, SAM Launch! E’ un Due a ore 12, è in volo, vengo a destra”

Partii con una manovra decisa verso destra mentre l’energia iniziava a scadere. Ma ecco un nuovo lancio da un altro sito conosciuto di SA-2 che veniva a trovarsi all’interno della virata appena impostata. Dalla padella nella brace… Del resto effettuare lo scampo dal lato sinistro ci avrebbe portato verso le postazioni di SA-8, ben più pericolose.

“Loris inverto a sinistra”

Controllai l’evoluzione del secondo missile appena lanciato e dopo essermi assicurato che anche questo non era guidato invertii nuovamente a destra per non allontanarmi troppo dalla rotta di rientro.

“Velocità! Velocità!”

Loris mi avvisava che stavamo andando sotto con l’energia, del resto a quelle quote il Tornado non era proprio a suo agio. Inserii il post-bruciatore. Per evitare di essere visti avevamo condotto l’attacco con il post-bruciatore spento, ma per riguadagnare energia serviva la spinta, del resto nel cielo di Piedigrotta una fiammata in più non si sarebbe notata poi tanto.

In quel momento vidi passare sopra di me la vampata di un terzo missile ed ebbi un momento di disorientamento: per me il missile era sopra, ma avrebbe dovuto essere sotto! In quale assetto eravamo finiti? Comunque impostai una nuova manovra evasiva sforzandomi di ragionare in termini spaziali senza preoccuparmi del sotto e del sopra. Ecco un quarto missile! E questa volta dall’alto verso il basso, o così mi parve, e contemporaneamente una vampata di enormi dimensioni da terra. Questa volta fu necessario guardare attentamente gli strumenti per confermare le mie impressioni: non ero rovescio! Ma allora quei missili da dove arrivavano? E quella vampata? Poteva essere un deposito colpito che esplodeva?

Ma ora il problema era un altro, a furia di manovrare avevo portato il mio velivolo in un range di velocità molto pericoloso. Buttai giù il muso per barattare quota in cambio di velocità e riacquistare quell’energia necessaria per ultimare lo scampo con successo.

“Stiamo scendendo troppo! La quota!”

Loris mi avvisava che ci stavamo avvicinando all’area letale della contraerea che nel frattempo stava offrendo il meglio di sé dando fondo alle scorte per il gran finale.

“Sotto controllo. Adesso livello. Mi serve ancora qualche nodo di velocità”

“14.000, 13.000!”

Avevamo stabilito un minimo di 12.000 piedi per evitare di finire in mezzo al tiro della triple A, ma per quanto ne sapeva lui avrei potuto essere in preda alla vertigine. Raggiunta la quota stabilita livellai l’aereo e riprendemmo la rotta di uscita pianificata. Erano passati forse due minuti in tutto, cinque volendo comprendere le fasi di avvicinamento e uscita.

Eravamo di nuovo nel buio e nel silenzio assoluti, la contraerea aveva cessato di illuminare il cielo, affievolendosi rapidamente man mano che ci allontanavamo. Una rapida verifica permise di accertare che tutti i velivoli non avevano subito danni e il Bruce dichiarava target centrato e rivendicava la distruzione di un deposito carburante (la enorme fiammata che avevamo osservato). La difesa irachena se l’era presa solo con noi, primo velivolo a giungere sull’obbiettivo, e le nostre manovre ci avevano decisamente rallentato, al punto che la formazione si era rovesciata: da primi eravamo divenuti ultimi. Non ricongiungemmo la formazione e procedemmo così sino ad Al Dhafra, ognuno alla quota e alla velocità ottimali per poter evitare un nuovo rifornimento.

Atterrai per ultimo a circa dieci minuti di distanza dagli altri. Benché fossero passate più di quattro ore dal decollo, i trecento erano ancora tutti in linea di volo, gli sguardi rivolti ai Tornado per notare eventuali danni e per constatare l’assenza delle bombe, segno di buon esito della missione. Aprendo il tettuccio mi raggiunsero l’applauso e le urla di gioia e di approvazione, che scaricavano totalmente la tensione cresciuta anche a causa del mio ritardo all’atterraggio. Quel tifo da stadio sanzionava una nostra rapida ed importante crescita.

Durante il debriefing, volto in gran parte a confermare le tattiche adottate degli iracheni nell’uso dei loro missili e contraerea, tutto sommato poco letali e conservative, compresi anche che il “terzo missile” era stato in realtà il post-bruciatore del Tornado di Bruce, che passando sopra di noi ci superava, libero da minaccia, dopo aver sganciato le bombe; mentre il quarto era sì un missile, ma americano: un F-4G aveva lanciato un missile antiradiazione contro un radar iracheno che era rimasto in emissione un attimo di troppo. A un certo punto, mentre parlavo, tutti gli occhi si volsero verso il televisore sintonizzato sulla CNN che, proprio in quel momento, stava rilanciando le immagini e le frasi degli equipaggi catturati trasmesse dalla tv irachena. Tra loro c’era anche il capitano Cocciolone, il navigatore del nostro Tornado disperso due giorni prima. Una buona notizia che lasciava ben sperare anche per la sorte del pilota, il maggiore Bellini.

Nei giorni successivi, gli interventi si svolsero con regolarità ed assunsero, con il passare del tempo, quasi un andamento routinario.I briefing piuttosto tesi dei primi giorni tornarono ad avvicinarsi a quelli delle esercitazioni. Anche gli equipaggi inviati per avvicendare i colleghi ad Al Dhafra erano confortati dal fatto di sapere che qualcun altro aveva già portato a termine quelle stesse missioni. Eravamo un reparto impegnato in guerra, avevamo già superato momenti di crisi e avevamo assaporato la gioia del successo. Eravamo veramente pronti ad affrontare le missioni future e, con l’aiuto della fortuna, avremmo vissuto tutti insieme anche il momento della vittoria.

Fuorigrotta non è lontana in quelle missioni

Daallora non posso far a meno di pensare a quella notte ogni volta che mi capita di assistere ad uno spettacolo pirotecnico. E ogni volta mi viene spontaneo sussurrare la frase che rivolgevo al mio compagno di avventure:

“Loris ti stanno sparando!”

 

Antonio Urbano scende in tuta di volo del Tornado

Già, Antonio Urbano, uno dei tanti, che dal Rosso Maniero dove è stato battezzato dal motto“Preparo alla vita e alle armi”

 

…..un Canadair dove oggi Urbano continua a volare………

 

……dalle missioni “fuori area” con botti “alla Fuorigrotta”

alle nobili e sempre pericolose missioni di Pace

Antonio Urbano

Nato nel 1954 a Bergamo, ha frequentato la Nunziatella con il corso 1969/72 Scientifico B.

Ha frequentato il corso Nibbio III dell’Accademia Aeronautica e nella sua carriera ha prestato servizio presso reparti aerotattici, comandando il 155° Gruppo Cacciabombardieri, il 32° Stormo e la Divisione Caccia Bombardieri Ricognitori. Capo Ufficio Operazioni e Comandante di Gruppo del Reparto Autonomo Volo durante l’operazione Locusta, è decorato dell’Ordine Militare d’Italia.

Ha lasciata l’Aeronautica Militare nel 2005 con il grado di Generale di Divisione Aerea passando a pilotare i Canadair CL415 della flotta antincendio di Stato. Nelle società che gestiscono la flotta ha ricoperto i ruoli di Direttore Operazioni Volo e Vice Direttore Generale.

Oggi è Comandante Istruttore di Canadair e si occupa di relazioni internazionali nella società Babcock – Mission Critical Services Italia.