GRANDE E’ LA GUERRA

PRIMA DEL PIAVE

di Nunzio Seminara

 

Si dice “Piave” e si dice Eroi e sangue. E difesa del “Sacro suolo della Patria”.

 

 

E di tutto quello che c’è stato “prima”. E “dopo”. Con storie di “pazzi volontari a nuoto col pugnale fra i denti che vanno di là, alla sponda sinistra, tremendi nelle notti dei cecchini, per poi tornare di qua, a destra, muti come erano ripartiti, sporchi di sangue e qualcuno in meno.

Ma quel “prima” al quale si pensa era “la discesa” dall’Isonzo.

Drammatica ed eroica.

Se dici “prima del Piave” è come se dicessi di quella discesa.

Invece qui il “prima” è una veloce carrellata di quasi 70 anni, appunto, “prima”. Quando la Storia era diversa da quella che ancora oggi raccontano. Perché?

 

Li hanno chiamati caimani del Piave

Il 17 febbraio scorsos’è tenuto un incontro con gli Allievi della Nunziatella. Per una riflessione sulla Storia che viene scolpita. E dire che a volte è scolpita sulla sabbia. Basta smuovere i granelli e si vede che non è Storia, ma parole di carta. Triste, quando descrivono quelle carte una specie di gioco. Un “tre-sette col morto”. Solo che 100anni fa di morti ce ne furono. Come sempre nella Storia, prima sempre e prima dopo. Come oggi e domani. Però perché giocare, e per chi?

Il centenario della Grande Guerra, in particolare quello del 1917 che ricorre quest’anno, segna l’evento drammatico di Caporetto, ormai simbolo di un fatto bellico che oscura le radici storiche degli Italiani. Una specie di peccato originale,l’icona negativa che le ragioni della “cultura dominante”, coinquilina della Storia “di convenienza”, esorcizzano per non contaminarsi,favorite sempre da divulgatori disponibili.E dalle distrazioni di molti.

Quando si parla di Grande Guerra, secondo un monumentale storico-editore, Paolo Gaspari“…..la vicenda dei generali a Caporetto ha assorbito tutto l’interesse degli storici che di storia militare ne sanno poco. Il problema è che essa è la Cenerentola della storiografia italiana per cui il cittadino medio è stato nutrito non di Storia ma di giudizi sulla storia…..

Ebbene, inDall’Isonzo al Piave, Tomo I, Rodrigo Editore, Ed. 2014, lo “storico” Alessandro Aldo Mola,così scrive del Piavenel paragrafo Militari e politici :…..Caporetto suona come una maledizione. Sin dal 1859 Friedrich Engels, autore con Karl Marx del Manifesto del Partito Comunista, previde che proprio in quella conca gli austriaci avrebbero fatto irruzione in una futura guerra italo-asburgica….”

Analoga citazione viene fatta da un altro storico, Alessandro Barbero, in una intervista pubblicata dalla TV nella rubrica RaiStoria ed anche in una concione tenutasi a Trieste (Youtube), in cui anche lui afferma come del Piave ne parlasse già Engels nel 1859 e, secondo il Barbero, fra le altre cosette pronunciate quasi con scherno e di cui si accennerà in seguito,“…. si sa, i generali fano i giochini della guerra…..

Curiosando sulle affermazioni appena riportate, si scopre che Engels, fin dal 1848, ancor prima del 1859 citato dai due “storici illustri, scriveva che quel fiume era, invece, il baluardo difensivo di germanici e austriaci in una probabile offensiva dei piemontesi, ancora non proprio italiani.

Infatti,per quanto riguarda le analisi di geopolitica, che erano parte importante delle sue riflessioni di filosofo che studiava i fatti del mondo, Friedrich Engels, si addentrava con grande competenza in considerazioni quasi premonitrici per il suo tempo sulle questioni di carattere militare, Sulle strategie e sulle tattiche addirittura nelle eventualità di conflitti futuri, individuando persino nella conformazione geografica dei territori, le tattiche degli eserciti.

 

Ma c’è di più. Le previsioni di Engels, erano raccomandazioni all’Austria per una sua linea di difesa da un’offesa da parte dell’esercito piemontese-italiano.

 

Engels studiò, dal 1948 al 1871, molti aspetti delle pieghe nascoste della storia politica e di quella militare (interessantissime descrizioni dell’Esercito Piemontese: se ne riparlerà in altra edizione).

La questione italiana, forse per vicinanza i vista di un “mercato ideologico” probabile, lo interessò particolarmente. Come riferisce Carlo Begotti,attento lettore di Storia, fin dal primo articolo del 23 giugno 1848, pubblicato da «Neue Rheinische Zeitung», giornale quotidiano fondato da Marx, criticava l’Assemblea Nazionale Tedesca,perché era indifferente alla repressione dell’Austria nei confronti dei patrioti italiani, perché sembrava che appoggiasse quella politica di dominio .

 

Scriveva Engels:

“…….L’Assemblea Nazionale Tedesca, …….., si è ingerita nella guerra austro-italiana. E come lo ha fatto? Ha proclamato l’indipendenza dell’Italia? Ha mandato un corriere a Vienna con l’ordine per Radetzky e Welden di ritirarsi subito al di là dell’Isonzo? […] Essa permette agli austriaci di bloccare, Venezia, nonché le foci del Piave, del Brenta e del Tagliamento, ma…”, ecco poi come valuta, nelle parole successive, quel probabile fronte di guerra: “….nega agli italiani ogni azione ostile contro Trieste!.

 

Cioè, si evidenzia come l’azione “ostile”, ovvero la guerra e l’attacco, fossero di verso opposto al ripiegamento degli italiani sul Piave nell’ottobre del ’17!

Ancora Engels in “L’occupazione austriaca dell’Italia,Scritto a metà febbraio 1859, pubblicato sul New York Daily Tribune n. 5575, 4 marzo 1859:…………………………Ma se Vienna è fortificata (il che, crediamo, si sta facendo), allora questa considerazione cade. L’esercito(n.d.r.: tedesco) potrebbe ancora arrivare in tempo a soccorrerla (cioé la Germania)e potrebbe ridurre la difesa della frontiera della Carinzia a una costante presenza sulle Alpi, sul fianco sinistro dell’invasore(ovvero gli italiani), minacciando di piombargli addosso o da Bassano o da Conegliano, e di impadronirsi delle sue vie di comunicazione non appena sia passato oltre….

 

La Carinzia, oltre ad essere un baluardo alpino insormontabile, costituiva per gli austriaci, secondo Engels, un trampolino di assalto verso la linea di Conegliano – Bassano del Grappa, in caso di aggiramento offensivo del Tirolo da parte degli piemontesi, non ancora “italiani”, sulla linea di Gradisca per poi puntare verso Vienna. Le preoccupazioni erano, per quanto in periodo storico non proprio favorevole ad un Piemonte “in crescenza”, assai prudente nell’esporsi troppo dopo vicende non proprio felici della prima guerra di indipendenza.

“…….Questa difesa indiretta del confine tedesco meridionale è, sia detto fra parentesi, la miglior risposta all’argomento con cui gli austriaci difendono la loro occupazione che dell’Italia ha: la linea del Mincio è la frontiera naturale della Germania a sud…….”

e ancora:

“………Chi aggira, è a sua volta aggirato. Se infatti attraverso il Veneto si aggira il Tirolo, attraverso il Tirolo s’aggira tutta l’Italia. Il passo di Bormio conduce diritto a Milano, e può servire per preparare una Marengo a un nemico che attacchi Trieste e GradiscaIn guerra, in fin dei conti, chi tiene il campo più a lungo e meglio, è sicuro di vincere.….”

(.d.r.: strategia dei militari di quel tempo fino alla Guerra di Cadorna e, se a Caporetto non ci fosse stata come già scritto una…..distrazione di troppo, si fa per dire!,chissà che…… la Storia non sarebbe cambiata, per quelle 5 6 ore di vuoto di Comando in quel punto di Caporetto!).

 

Prosegue:

“………La Germania tenga saldamente il Tirolo e potrà permettere agli italiani della pianura di agire come meglio credono. Finché i suoi eserciti tengono il campo, poco importa che le appartenga politicamente il Veneto che dal punto di vista militare è dominato dalla sua frontiera alpina – e questo dovrebbe esserle sufficiente. Naturalmente fin qui, noi abbiamo considerato le possibilità di una guerra difensiva soltanto da parte degli austriaci. Ma, nel caso si venisse a una guerra, la loro posizione è tale che si imporrebbe il piano per una campagna offensiva; ma di ciò parleremo un’altra volta.

L’aggiramento, modello tattico esclusivo degli strateghi,

da Annibale a Napoleone, a Von Moltke.

come per “Caporetto”, quando dopo il primo sfondamento degli slesiani, gli austrogermanici, concentratisi in forze più a nord, scesero verso Cividale e Pozzuolo del Friuli, spingendo le divisioni italiane che combatterono strenuamente e arretrarono verso il Piave: in questo tratto, dal 25 ottobre fino al 7 novembre si svolse “la battaglia di Caporetto”, che prese il nome dallo sfondamento nella Conca di Plezzo..

E insiste, in un opuscolo scritto fra la fine di febbraio ed i primi di marzo del 1859, pubblicati nell’aprile successivo:

………Tutti i fiumi che scorrono ad est del Sempione dalle Alpi nella pianura dell’Italia settentrionale fino al Po, o direttamente al mare Adriatico, formano, con il Po o da soli, un gomito concavo verso oriente. Sono perciò più adatti alla difesa di un esercito stabilito ad oriente che di uno stabilito ad occidente. Si osservi il Ticino, l’Adda, l’Oglio, il Chiese, il Mincio, l’Adige, il Brenta, il Piave, il Tagliamento; ogni fiume da solo o insieme alla parte del Po con la quale con fluisce forma un arco di cerchio, il cui centro si trova spostato verso oriente. Perciò l’armata che sta sulla riva sinistra (esercito austriaco) è in condizioni di prendere una posizione centrale arretrata, dalla quale può raggiungere in un tempo relativamente breve qualsiasi punto del fiume seriamente minacciato; esso tiene la «linea interna» del Jomini marcia sul raggio o sulla corda, mentre il nemico (esercito piemontesedeve manovrare lungo la circonferenza, che è più lunga. Se l’esercito della riva destra si trova sulla difensiva, questa circostanza gli sarà pure sfavorevole; il nemico è protetto nei suoi finti attacchi dalla località e le stesse più brevi distanze dai singoli punti della periferia, che gli erano di vantaggio nella difesa, danno ora al suo attacco una preponderanza decisiva…….”

Insomma, dire e scrivere che del Piave soltanto altri parlassero tanto tempo prima, tra l’altro come ultima sponda degli Italiani, travisa il senso storico della citazione: non è vero che gli italiani non pensassero al Piave, perché, come in effetti si vedrà, anzi, nei progetti strategici lo avevano ben preso in considerazione.Ma perché questo “travisamento”?

Che quel Piave fosse un segno geofisico di valore strategico-militare nel basso Veneto era, ed è indubitabile che lo fosse, dall’Isonzo al Tagliamento al Piave. Lo dicono le carte geografiche. Non c’è bisogno di chi “dice o scrive” di Storia.Basta guardarle e leggerle!

Lo pensò e lo scrisse Engels mentre i Generali giocavano e pensavano ad altro?

 

 

 

Perchéindurre un uso diverso della verità storica? Quale fine non letto e non ascoltatose non quello di far scivolare i giudizi verso la impreparazione e incapacità dei nostri militari? Quante altre stanze di notizie e di raccordi di eventi vanno raccolti in un mosaico non ancora ultimato, dove i nostri avversari, i germanici e gli austrungarici, ma anche gli “alleati” franco-anglo-americani hanno sofferto conseguenze più tragiche degli italiani!

Curiosa la citazione di “difesa ad oltranza”, altro non è che quella di Cadorna e che, a conflitto concluso, dagli stessi Generali tedeschi fu più volte menzionata come tattica vincente quando, sfiancando gli avversari, li si può superare con manovre avvolgenti.

 

Igiochini dei Generali

Fin dal 1876 i “Generali” studiavano la guerra futura, come infatti i vari Luigi e Carlo Mezzacapo e Giuseppe Salvatore Pianell, un grandissimo Enrico Cosenz fino all’ultimo Alberto Pollio (di quest’ultimo si parlerà in altra sede sualtre note che meritano di essere rilette attentamente oltre a quelle già diffuse in pizzofalcone.itdi un anno fa), fino a redigere veri e propri piani di guerra,documentandoli con schizzi e descrizioni per l’appunto inPrima del Piave”.

 

L’analisi sintetica che segue parte dal 1880: i fatti di Custoza (1866) avevano già espresso l’attenzione dei piemontesi verso la visione strategica generale di come “fare la guerra”, naturalmente agli austriaci (andò male….), ma lo studio del territorio verso i capisaldi “roccaforte” (Mantova, Peschiera del Garda, Mantova, Verona, Legnago) già rispettati dai piani di Napoleone nella “campagna italiana”, saranno la premessa per parlare, più avanti, dei sistemi difensivi nei possibili teatri di guerra. Inoltre, la questione romana che portò alla presa di Porta Pia ed il riordino e la ristrutturazione dell’Esercito di un’Italia “raggiunta”, o quasi (restava il mito di Trieste!), erano più “emergenti”.

 

Bernardino Milon

Luigi Mezzacapo

CarloMezzacapo

Enrico Cosenz

Giuseppe S. Pianell

Domenico Primerano

Tancredi Saletta

Alberto Pollio

 

 La “svolta” avvenne, dopo la morte del Ministro della Guerra, il Gen. Bernardino Milon, avvenuta nel 1881, quando s’insediò in quella massima carica Emilio Ferrero, che fondò il Corpo di Stato Maggiore dell’Esercito, al quale fu assegnato il compito dello studio di ogni piano strategico militare. Il primo Capo di Stato Maggiore, incarico che ricoprì ben 11 anni, dal 1882 al 1993, fu il Gen. Enrico Cosenz. Questi iniziò a dare concretezza a studi militari con veri progetti strategici. Fu affiancato, citando i più importanti, da Luigi e Carlo Mezzacapo (il primo era stato già Ministro della Guerra), a Salvatore Pianell. Per la cronaca, tutti i menzionati incluso Milon,erano stati alla Nunziatella, con esclusione di Ferrero.

Questo significa che “i piemontesi”, in un certo senso, erano meno apprezzati dagli stessi “piemontesi”per una cultura militare forse non attenta. Gli studi iniziarono con molto impegno dal nuovo Stato Maggiore, tranne una sospensione dovuta ad una breve parentesi burrascosa che portò altri disastri per la nuova Italia (Adua, 1896), quando il Capo di SM, il gen. Domenico Primerano (anch’egli “nunziatello”!) fece una breve comparsa allo SM di viale XX Settembre, sommerso dalla crisi politica del Governo Crispi.

Quindi, con i Gen.liTancredi Saletta prima ed Alberto Pollio (altro “nunziatello”) poi, i Generali continuarono a “giocarealla guerra, lì, dalle parti del Piave, anzi, più avanti.

 

 

I “GIOCHINI”

(fonte:”Situazione Esercito Italiano Guera 1915 – 1918

S.M.E. – Ed. 1936)

 

 

Primo Studio Gen. Enrico Cosenz -1885

 

Schieramento dell’Esercito alla frontiera Nord – Est

 

I primi studi ebbero due aspetti che non favorivano prospettive, nell’immediato, una valutazione concreta di una difesa valida del territorio nazionale. Il primo, la firma di un trattato fra Austria Germania e Italia, “la Triplice Alleanza”, che di fatto rallentava propositi di guerra contro l’Austria, avversario storico, e, il secondo, occorreva stare con i piedi per terra: l’Austria aveva un Esercito più favorito dalle risorse disponibili, e con le vie di comunicazione per le movimentazioni di truppe sotto controllate.

Prima di Cosenz era stata adottata una posizione difensiva dei reparti cercando di presidiare in modo sparso il territorio. Ma era troppo arretrata la linea di difesa sull’Adige. Cosenz la spostò in avanti, oltre il Piave ed il Tagliamento, disponendo un corpo di veloce mobilità costituito da una divisione di Fanteria, una brigata di Bersaglieri e due divisioni di Cavalleria, ponendo ad arco reparti di contenimento supportati nelle zone montuose da forze Alpine. Strategia che lasciava intendere la visione di un Generale che sapeva “di uomini in guerra”. Unico problema era lo studio accorto delle comunicazioni, deboli per una rete ferroviaria insufficiente, infatti la distribuzione nel terreno dei reparti previsti era disposta in profondità per non disperdere tempi di inserimento delle riserve. Il tempo, parametro principe di tutte le guerre di tutta la Storia.

 

Secondo studio Gen. Enrico Cosenz – 1889

 

Schieramento dell’Esercito alla frontiera Nord – Est

 

Lo schieramento diventa più raccolto per il miglioramento delle comunicazioni nel territorio.

Tre divisioni di Cavalleria a sinistra del Tagliamento, Corpi d’Armata verso nord e di protezione degli accessi al mare. Il mare, con visione lungimirante (durante il conflitto mondiale Cadorna e poi Diaz se ne preoccuparono), destinò una divisione di Fanteria in Sicilia. 

Terzo studio Gen.Tancredi Saletta – 1904

 

Progetto di radunata e schieramento dell’Esercito alla frontiera Nord Est

 

La strategia di Saletta non modificò di molto i precedenti studi. Però distribuì verso il confine 150.000 uomini e, in forza del miglioramento delle comunicazioni, riuscì a ridurre il tempo di mobilitazione completa in 26 giorni.

Questo giustificava l’estensione dello schieramento, per dare maggiore copertura sul territorio.

Il tempo di mobilitazione era lo scopo principale. Lo si ridusse in 25 giorni, mentre a sostegno della Cavalleria fu spostato un Corpo d’Armata verso il Tagliamento.

Nel 1906, non si trattò di un piano strategico particolarmente diverso, fu infatti mantenuto come se fosse stato una “manutenzione migliorativa” del precedente.

Quarto studio Gen. Alberto Pollio – luglio 1909

 

 

Progetto di radunata e schieramento dell’Esercito alla frontiera Nord Est

 

Divenne Capo di S.M. Alberto Pollio. Consolidò la sicurezza nel trentino con due Armate. Non cambiò la destinazione sul Piave e mantenne la Cavalleria sul Tagliamento. Rinforzò le riserve con due Corpi d’Armata fra Padova e Monselice.

In Sicilia destinò un Corpo d’Armata, prosegue così la visione lungimirante della protezione a mare, e, ancor più importante, una Divisone nel Lazio (il Tirreno doveva essere rinforzato nella eventualità di “scorribande future “ di francesi: segno di visione “poliedrica” della sicurezza della penisola).

Il tempo di radunata fu ridotto a 23 giorni!

Lo schieramento risultava compatto ed omogeneo.  

Quinto studio Gen. Alberto Pollio – luglio 1913

 

 

Progetto di radunata e schieramento dell’Esercito alla frontiera Nord – Est

 

Alberto Pollio rafforza la compattezza e la resistenza verso il Trentino, favorito dalla migliore viabilità in pianura, anche per alleggerire eventuali spinte offensive verso il Piave.

Altra attenzione alla fortificazione del territorio del Cadore con un insieme di forti per costituirne un

Sistema in grado di avere autonomia e resistenza affidabile in caso di proiezione dal “nemico”.

Un altro sviluppo lo svolse, lo S.M., nella direzione dell’analisi finanziaria dei costi: Pollio lasciò al successore Cadorna una simulazione di costi per un serio e completo schieramento, incluse armi, munizioni, uomini, per l’importo complessivo di £ 1,0 miliardi di lire: dato ripreso nel maggio del 1915!

Altre valutazioni verranno esposte in una successiva edizione: la figura di Pollio è, per quanto riguarda gli studi effettuati, ancora inesplorata.

 

Allora, facevano “giochini i Generali?”

Quei giochini…..,secondo il rituale costume ironico diffuso con sarcasmo denigratorio allo stato puro: è, questa, una Storiaimmaginata e divulgata ad usum delphini?,delphini chi?

ALTRE IMPROVVISAZIONI FUORVIANTI 

Il panno dei berretti e di ferro (gli elmetti)

 

Le foto che seguono documentano che i berretti di panno, “alla fronte”, li avevano gli Eserciti europei, non era una impreparazione italiana (altre lacune sì, ma le verità vanno affermate con documenti!), tant’è che li indossavano anche gli austrungarici e i germanici all’inizio della Grande Guerra, nel 1914.

 

I primi reparti francesi in guerra col copricapo di panno

 

Reparti germanici in guerra col copricapo di panno

 

Militari italiani in partenza per il fronte (dal sud?)

Dal 1915 si cominciò ad adottare il copricapo in ferro, l’elmetto. Gli Italiani, pochi mesi dalla loro entrata in guerra, adottarono il modello francese “Adam”.

Perché per avvalorare proprie idee, legittime, si fa ricorso a informazioni non corrette?

 

Elmetti francesi “Adam

 

Elmetto tedesco

 

Raro elmetto austriaco

 

Elmetto italiano “tipo Adam”

 

Le teste rasate

 

Ufficiali e Sottufficiali i riunione “alla fronte” 1917

Alessandro Barbero, con malcelata ironia perché spigolosamente non ben disposto verso il Col. Boccacci, Capo di Stato Maggiore del VII Corpo d’Armata a Caporetto, ne fa oggetto di accuse di pedofilia per avere foto di giovanette (minorenni?) stampate dai fotografi militari. E’, per lo storico, un Ufficiale vanesio, che ai soldati arrivati “alla fronte” diceva che subito dovevano “raparsi a zero” per pulizia ed igiene “mentre quelli, magari il giorno dopo, andavano a morire in trincea”.

Ma il Barbero non sa che tale consuetudine era d’obbligo, perché proprio i medici militari avevano raccomandato il taglio completo delle capigliature per evitare ritardi nelle medicazioni che potevano procurare danni ulteriori a ferite alla testa. Domanda: si poteva dire ai soldati appena arrivati di tagliarsi i capelli perché forse, se feriti alla testa, ci sarebbero stati problemi per i chirurghi?, sarebbe stato un messaggio opportuno, della serie “Guarda che potrai essere colpito alla testa, forse domani.

Non erano monaci quei soldati ai quali dire “Ricorda fratello che devi morire!” . Lo sapevano già. Era il caso di dirglielo “Ufficialmente”?

Al di là di Ufficiali o di militari non apprezzabili, di cui non si vuol prendere alcuna difesa d’ufficio, quando si fa Storia Militare ci si vuol documentare senza supponenza “creativa” e diseducativa? Eppure questo ormai fa audience per ogni cosa che riguardi divise e stellette. Fino a farne propaganda di ideologia antimilitare, che non è cultura storica. No comment.

 

I futuristi

 

L’arte delle idee che negano l’arte

 

Tommaso Marinetti

Un altro personaggio che nella Storia ha segnato un capitolo importante e, almeno finora, indelebile, a meno degli strali di Barbero. Ma anche di tantissimi uomini della cultura vulgatara, tante volte, essa stessa volatile.

Lo “storico” ha declamato con inadeguata ironia il proclama dei futuristi, scritto da Tommaso Marinetti: il Futurismo, che ha dignità artistica, esalta l’uomo-eroe e la velocità dei gesti e delle idee e del movimento e tant’altro ancora (non è questa la sede di un saggio artistico!). Declamazione un po’ forzata degna di un attore poco attendibile, alla ricercadel consenso come se si cantasse in prosa unavignetta e che, come tale, non ha bisogno neanche di essere disegnata. Basta dirla. Dall’immagine che può essere arte, alla gomma che la cancella senza neanche farla vedere.

Questa è cultura?

Umberto BoccioniLa carica dei lanceri 1915

È stato un futurista. E allora? Punto

 

Giacomo Balla Ragazza che corre sul balcone 1912

È stato un futurista. E allora? Punto

 

Fortunato Depero Cavalli Fiammanti 1926

È stato un futurista. E allora? Punto

 

Ottone Rosai – “Ardito”

Proclamava, ricorda Barbero, bastone e purghe. Anticipava gli anni dopo. No buono

 

Ottone Rosai – I giocatori di carte

È un intensa opera d’arte

di un futurista. E allora? Punto

 

 Architetture di Antonio Sant’Elia

Architetto futurista, volontario nella Grande Guerra, da dove non è tornato.

I suoi sono progetti di oggi, 100anni dopo, disegnati quando non c’era la tecnica di oggi,

ma c’era il desiderio di costruire il futuro. Era futurista.E allora? Punto

 

“A voi!”, come dicono i Maestri di scherma invitando gli atleti all’agone sportivo.