Algoritmo Capitale

di Nunzio Seminara

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Articolo già pubblicato su “AR Web”, rivista digitale dell’Ordine degli Architetti di Roma

Roma. Ha un nome troppo breve, sembra ancora inesplorata nella eternità del tempo, quando storia e mito si alternano e la esaltano. Fino a denigrarla. Per poi esaltarla come si vorrà per i 150 anni di Capitale d’Italia. Una città densa di problemi insoluti, che sarebbe da far decifrare all’algoritmo della matematica di numeri e di geometrie. Se la città cresce con variabili numeriche, gli abitanti, e si distribuisce in superfici sul terreno, può in analogia essere letta da un algoritmo? Quando poi è la “Caput Mundi” (Anneo Lucano, 61 a.C.), l’icona che evoca il suo primato fino dai confini del tempo? Il tempo in cui per convenzione la fondarono nel 753 a.C. Romolo e Remo, i figli della Lupa. Anche se è più attendibile che l’origine sia di quattro secoli prima, la Rumon, o Rumen, ovvero la città dell’antico Tevere, la città sul fiume, dai primi insediamenti di pastori e di rifugiati da guerre dei territori limitrofi, persino da terre lontane. Storia di ieri e, chissà, di oggi.

Finché quella città disegnò il suo Impero con la prestigiosa ingegneria delle strade, degli acquedotti e dei porti e subliminò nel dominio militare la romana virtus dell’etica della Politica e del Diritto, arricchendo di beni immateriali il civis romanus.

Tutti parametri per l’algoritmo dei numeri e delle geometrie nel territorio. Tanto, come premessa a quel 3 febbraio del 1871, quando Roma fu proclamata Capitale d’Italia. 150 anni di grandi stravolgimenti. In sintesi i più significativi.

Quelli degli attraversamenti del fiume, secondo lavori di un programma della città pietrina già approntato con alcune opere di ingegneria di notevole interesse, scadenzate nella realizzazione di quattro ponti metallici. Di questi il progetto del giovanissimo ingegnere-architetto Raffaele Canevari, una passerella pedonale sospesa tra San Giovanni dei Fiorentini e Palazzo Salviati (1861-63), che per il pedaggio i romani battezzarono “ponte der sordino”.

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Il Ponte del soldino

Fu demolita, purtroppo, nel 1941 dopo la costruzione del vicino ponte Principe Amedeo D’Aosta (1942). Altri ponti metallici con diverse soluzioni furono una pregevole testimonianza nel secolo della rivoluzione industriale: a travi reticolari ad arco (Ponte degli Alari)

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Il Ponte degli Alari

e passerelle, come quell’altra sospesa (ing. Pietro Lanciani) che rendeva praticabile il rudere del Ponte Senatorio o Ponte Rotto, anche questa rimossa.

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La Passerella di Ponte Senatorio

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Ponte Rotto, Van Wittel, 1690, dal Sito internet Rerum Romanarum

Opere ancor più significative perché erano dovute a professionisti romani. Ma la primaria emergenza era la difesa dal fiume per il contenimento delle piene. Lo stesso Canevari, dopo l’esondazione del Tevere del 28 dicembre 1870, dovette occuparsi della “preoccupazione capitale”. Il progetto dei muraglioni a golena di 12 metri di altezza, appaltato il 3 dicembre 1876, consentì i lavori di una ciclopica infrastruttura, completata 50 anni dopo. Furono necessarie molte modifiche e difficoltose opere idrauliche per il consolidamento degli argini, circa 18 km complessivi sulle due sponde, con la rimozione di numerosi mulini per le macine di cereali e grano e con la bonifica dei Prati di Castello. Va però menzionato “il progetto Garibaldi”, sì, proprio lui, che per renderlo navigabile propose in Senato la deviazione del Tevere verso sud, argomento che andrebbe approfondito in altra sede. E poi “la città fortificata” per la nuova capitale, importante opera infrastrutturale alla stregua delle altre capitali europee.

Dal 1871 al 1892 si realizzò un sistema di forti e “batterie” che implicarono non poche trasformazioni del disegno urbano e sollevò distinguo abbastanza rilevanti fra i professionisti privati e il Genio Militare dei piemontesi, i quali rivendicavano esclusiva autonomia anche incidendo nell’urbanistica romana.  I lavori di capisaldi fortificati a distanze regolari e collegati da trinceroni solcati nel terreno, furono realizzati in due fasi: la prima (ing. Garavaglia), Monte Mario, Forte Braschi, Boccea, Aurelia Antica e Bravetta; quindi la seconda (ing. L. Durand de La Penne), Trionfale, Ostiense, Ardeatino, Casilino, Prenestino, Tiburtino, Pietralata, Monte Antenne e le batterie Appia Pignatelli, Porta Furba e Nomentana. Le costruzioni militari, oggi sommerse dall’espansione urbana, attestano grande rilievo storico per le assonanze murarie con le antiche fortificazioni romane e per le soluzioni strutturali adottate.

Intanto la Roma del Regno dei Savoia diventava “la città per convenzione”, per le trasformazioni urbanistiche che consentivano la crescita diffusa dell’edilizia residenziale. Lo strumento giuridico della “convenzione” consentiva a imprenditori disinvolti di superare le regole, favorendo anche lo stravolgimento un po’ spregiudicato delle proprietà (fondiarie) nell’uso del suolo. I capitali dell’aristocrazia romana, dai legami stretti con il Vaticano, erano sostituiti nel patrimonio urbano da nuove figure di investitori. Esempi monumentali di trasformazione urbana avvengono all’Esquilino, dell’arch. Gaetano Koch e di Mons. De Merode, investitore papalino. L’architettura dei travertini divenne un po’ piemontese neoclassico-neorinascimentale, ma con esempi notevoli di modernità, ancora oggi manifesti delle nuove tecniche costruttive nelle strutture miste mattone-ferro che fanno ancora scuola nei testi di architettura e ingegneria: il Museo Geologico a Largo S. Susanna (1873-1885), dove sempre il Canevari si esprime in un pregevolissimo baluardo di tipologia costruttiva.  

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Il Museo Geologico, oggi

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Il Museo Geologico all’inaugurazione

Segue il Palazzo Bocconi, ovvero “la ex Rinascente” all’angolo di Via del Corso con Via del Tritone, altro esempio illuminante non solo per l’uso della struttura metallica, ma per l’iniziativa del concorso pubblico che gli investitori privati adottarono (1885), vinto dall’ arch. De Angelis e dall’ing. Bucciarelli. Progetto mirabile di composizione dei prospetti a vetrate e degli interni che esaltano la struttura in ferro-ghisa.

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La Rinascente su Via del Corso

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Interno

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Altra immagine dell’interno

Di seguito, altro esempio di Architettura in ferro è quella dell’Ospedale Militare del Celio, nel quartiere del’Esquilino. opera dell’ Architetto Salvatore Bianchi che collaborò alla stesura del progetto dell’Ingegnere Militare Luigi Durand de la Penne

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Ospedale Militare del Celio – La scala del corridoio esterno centrale

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Esempio della tecnologia metallica che convive con le strutture murarie in un equilibrato rapporto ferro e mattone in una pregevole composizione, ancora esempio illuminante del “tempo del ferro romano”

 

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Vista notturna della passerella del Corridoio Centrale

Anticipazioni, tutte, dell’altrettanto mirabile “Rinascente” di Franco Albini e Franca Helg a Piazza Fiume.

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Fin qui pochi accenni della ri-nascente città Capitale d’Italia. Resta quell’ideale della Caput Mundi, in questi ultimi decenni compromessa in controverse vicissitudini urbanistiche, da rifasare per restituirla alla sua eternità del tempo. Non come quel recente lifting giuridico addirittura del nome, “Roma Capitale”, così forse per gli irrisolti percorsi amministrativi che ne hanno offuscato “La grande bellezza”. O forse per ricordare proprio a noi, viandanti distratti, che è la Capitale d’Italia, da ri-leggere e decifrare in un algoritmo capitale.

n.s.