CAMPANIA FELIX

di Mimmo D’Angelo

Premessa dell’autore

Lo scenario nel quale si svolge l’azione è quello di Napoli e della Regione Campania con particolare riferimento alla zona denominata “Campania Felix” un tempo e poi “Terra di Lavoro”. Più o meno ai giorni nostri, ovvero 2018-2019.

Dal punto di vista della struttura narrativa gli episodi delle avventure del Commissario Amy Salerno nascono con l’idea  del Feuilleton o Romanzo a puntate che i giornali pubblicavano tra l’800 ed il 900.

Questi erano scritti con l’espediente (marketing d’antan) di lasciare in sospeso questioni e/o avventure alla fine di ciascun capitolo-episodio e perciò per fidelizzare i lettori, come si dice oggi, invogliandoli all’acquisto successivo del giornale, per poter leggere la continuazione del racconto.

I precedenti sono più che illustri perciò mi vergogno anche solo a citarli (“I Miserabili”, “Delitto e Castigo”, “I tre Moschettieri” ecc.).

Per quanto riguarda la tecnica di scrittura letteraria vera e propria ho scelto quella del “discorso indiretto libero” cara a molti scrittori come Pier Paolo Pasolini, sviluppata per primo nella Letteratura italiana da Giovanni Verga, nel quale lo scrittore ogni tanto interviene direttamente, magari con qualche commento. Ma il discorso indiretto libero non è solo questo naturalmente.

Oggi un autore che lo usa molto diffusamente e brillantemente è ad esempio, Günnther Grass.

Ho utilizzato questa tecnica in diversi modi espressivi.

L’altra scelta stilistico-strutturale consiste nell’uso della più ampia gamma possibile di registri o toni narrativi. Dall’umoristico-comico al drammatico, dal buffonesco al tragico e, ove possibile e raggiungibile, anche lirico. Con il sottofondo umano ed umoristico del Sud campano-napoletano.

Ho adottato inoltre una regola generale : nessun clichè soprattutto per poliziotti (specie americani). Quando si ha l’impressione che un personaggio alla sua apparizione nel racconto sia un clichè, cerco di mostrare nello sviluppo narrativo – quando ci riesco – che le sue “vere” caratteristiche umane sono in realtà diverse.

Niente superman o superwoman perciò o scene d’azione inverosimili ed esagerate. Cerco anche di evitare anche clichè più o meno comuni su tic o fissazioni di poliziotti, di attaccamento talmente appassionato al lavoro che fa loro trascurare affetti, amori ecc. con situazioni anche troppo scontate.

Tratto e cerco di tratteggiare personaggi che capita a tutti noi più facilmente di incontrare.

Che sono persone come le altre, non diverse perchè fanno i poliziotti o i magistrati e devono essere simpatici, vincenti e giusti. Alcuni sono deboli, altri forti, con gli alti e bassi della condizione umana.

Ho cercato di rendere la presenza pervasiva della Camorra sul territorio è viva e costante, sempre percepibile nell’atmosfera del racconto. Con riferimento – cronologici e cronachistici, non strettamente inerenti al plot – a fatti e personaggi della reale storia camorristica di questi anni.

La scelta sul tipo di plot giallo è letterariamente ispirata a quella di George Simenon (ed anche qui “absit iniuria verbis” ) ovvero con uno sviluppo logico e conseguenziale dell’indagine, senza colpi di scena o di genio e magari finali, sconosciuti al lettore. Qui ho infatti inserito la mia personale esigenza di una sorta di correttezza verso il lettore che dev’essere messo, a mio giudizio, sullo stesso piano dell’investigatore ovvero essere a conoscenza di tutti i suoi indizi e le sue informazioni, nè più nè meno. Gli indizi saranno seminati e magari apparentemente trascurati per non prestarsi ad un gioco troppo scoperto (anche perchè messo per iscritto) ma il lettore, nel racconto, deve averli tutti.

Finalmente qualche considerazione sull’utilizzo del dialetto in alcune frasi.

E’ più o meno il classico uso che se ne fa anche negli ambienti, familiari e di lavoro in Campania, nei quali ufficialmente si parla italiano. L’accento, qualche frase, espressione o parola lascia sempre il suo spazio al dialetto. Anche negli ambienti raffinati dell’alta borghesia o addirittura della vecchia nobiltà napoletana. A casa mia, anche dopo il trasferimento dei miei genitori a Roma, si parlava così.

Personaggi

  • Il Commissario Amy Salerno, Protagonista e investigatrice della Polizia di Stato
  • Il “DottorAntonio Gaglione, Camorrista capoclan
  • Caterina, Vecchia Contadina che gestisce la “masseria” di Antonio Gaglione
  • Antonio Annarumma, Agente scelto di P.S., stretto collaboratore di fiducia del Commissario Il Maresciallo (Ispettore Superiore)
  • Gennaro Gargiulo, Ispettore Superiore di P.S., anche lui stretto collaboratore di fiducia del Commissario
  • Pasquale Izzo, Magistrato inquirente
  • Francesco Caruso, Medico legale della Polizia
  • Antonio Esposito, Il Questore di Napoli
  • Pasquale Zuava, Il Prefetto
  • Alaba Kehinde, Nigeriano, capo di una banda di spacciatori della cosiddetta “Mafia nigeriana”
  • Il Prof. Luigi Scognamiglio , Avvocato penalista tra i più famosi di Napoli.
  • Susy, Ada e Maria Carolina, Amiche del cuore di Amy

Edizioni SOVERIA MULTIMEDIA s.r.l.

CAPITOLO PRIMO

ABIGEATO

Sì, l’ordine alfabetico era giusto.

Si decise.

Per primo chiamò l’agente scelto Annarumma Antonio. “Buongiorno Annarumma.”

“Qui tutti mi chiamano Totonn’…” disse dentro al suo sorriso.

“Buongiorno Annarumma… parlami un po’ di te, della tua formazione, la tua famiglia. Ma così, una cosa tra noi. Simmo paisani, no?”

Totonn’ era un po’ in imbarazzo, ma poi si sciolse e chiacchierarono così per una decina di minuti. “Ma mò sentiamo di qualche ultima novità di lavoro… allora cominciamo. Che è successo ieri, da quando sono qui?”

“‘Ann’ arrubbat’…”

“C’è stato un furto di…” intervenne il Commissario

“… Un furto di bestiame!”

“Che bestiame?”

“Doje galline…”

“E questo lo chiami furto di bestiame?” rise il Commissario

“C’era pure ‘nu cuniglie…”

“Sì, allora è abigeato!” disse il Commissario sempre più divertito

“Abbichè, Commissà…? Scusate io non è che ho studiato assaje…”

“Abigeato, ovvero furto di bestiame, Annarumma, scherziamoci un po’ su…”

Era appena arrivato da Napoli il Commissario Amy Salerno, l’avevano trasferita al Commissariato di Santa Maria Capua Vetere con la scusa che farsi un po’ le ossa in provincia, una provincia tosta, di camorra, le avrebbe fatto bene.

Sennò, le dicevano, tutti avrebbero pensato che una donna – con in più la colpa di essere bella – veniva favorita. La cocca di quello, l’amica di quell’altro…

In realtà le cose che davano veramente fastidio erano le sue qualità. Troppe. Intelligenza, intuito, impegno, professionalità.

Dura quando serviva ma sempre con un sorriso vero sulle labbra.

E pure viva e vivace. Un guaio insomma per superiori, criminali e corteggiatori vari.

“E a chi le hanno arrubat’ ‘sti galline?” (ogni tanto scappava un po’ di dialetto anche a lei. E poi era fiera delle sue radici napoletane)

“Ad Antonio Gaglione…”

“Ma… quale Antonio?”

“Quello, Commissà.”

“Il capo della famiglia, dopo la morte del padre Gennaro…”

“Sì, mò c’ha 35-38 anni, cchiù o meno…”

“Allora, con questa scusa lo convochi, ci voglio parlare.”

“Ma non è stata presentata denuncia, Commissà, ufficialmente il fatto non sussiste.”

“E tu come lo sai?”

“Me lo ha detto Catarina”

“Caterina… e chi è?”

“ ‘Na specie di seconda madre, da quasi 50 anni o più, credo, sta in quella casa. Prima era sola una figlia di contadini che da ragazza aveva cominciato a fare la serva – scusate ma si diceva e si dice ancora così, da noi – poi ha cominciato pure a fa a cucina e mò cumanna anche gli altri servi…”

“Gestisce l’altro personale, Annarumma. Ma come li scrivi i rapporti, i verbali?”

“Mi arrangio, Commissà. Ma con voi miglioro sicuramente…”

“E come mai Caterina l’ha detto a te?”

“La domenica ci vediamo a Messa. Io ci vado con mia moglie e c’è pure Caterina. Lei è rimasta vedova 6-7 anni fa. Era sposata con un contadino, Domenico, detto Menichiello. Spesso mi racconta qualcosa, sapete com’è in paese…”

“Qualcosa d’interessante sulla Famiglia?”

“No, Commissà, sempre piccole cose. Dice solo che vede entrare tanta gente, tante macchine.

Ma non le dicono o fanno vedere niente d’importante. Però ogni tanto mi segnala delle cosette, fatterelli, che non vengono mai denunciati…”

“Per esempio?”

“Un mese fa è bruciato il garage, c’erano dentro tre macchine, una meglio dell’altra…”

“E nessuna denuncia neanche allora?”

“No, anzi l’incendio se lo sono spenti da soli, senza chiamare i pompieri. Noi non l’abbiamo neanche saputo. Non abbiamo scuse per entrare, ufficialmente.”

“Ma non è che ’sta Caterina si inventa tutto?”

“No Commissà, figuratevi! Non è proprio il tipo… e poi era così spaventata. Non me lo dice ma capisco che vorrebbe che noi facessimo qualcosa. Ma che putimmo fa?”

“Va buono. Parlami un po’ di lei, allora.”

“So che da giovane – anzi era proprio ’na ’uajona – ha cominciato a fare la cameriera in quella casa. Era figlia di contadini di un podere di proprietà dei Gaglione, che non avevano ancora cominciato la loro nuova attività…”

“Camorristi, Annarumma.”

“Sì, ma non risulta ufficialmente…”

“Risulta, risulta. Il padre è stato ammazzato in una faida, la madre è morta in uno strano incidente, hanno tre processi in corso. Se non lo diciamo nemmeno noi…”

“Caterina – faceva più attenzione adesso Annarumma nel parlare – dopo la morte della madre, come vi dicevo, cucina e governa la casa – guardò fiero il Commissario, che non fece una piega – … e tutti la rispettano assai, a cominciare da Antonio, il nuovo Capo.”

“Ma non le dice niente di quello che lui fa veramente?”

“No, quello no, Commissà, perciò non lo so.”

“Vabbè, lo vado a trovare io ’sto bell’Antonio.”

“Vi accompagno, Commissà…” “No, vado da sola. Spiegami dove stanno.”

“Ma il Maresciallo Gargiulo s’inca… si arrabbia con me Commissà, già ha detto che mi avete chiamato per primo…”

“Non lo spiego né a te né a lui i criteri che seguo. Quando avrò tempo, dopo l’incontro con Gaglione, convochiamo Gargiulo e ci faccio una chiacchierata. Per adesso portagli quest’ordine di servizio da parte mia. Deve andare a fare un posto di blocco.”

Prese la strada in direzione di S. Prisco dov’era la proprietà con la tenuta-villa dei Gaglione.

Prima l’Appia (“regina viarum”, si ricordò dal suo professore del liceo) e poi a sinistra, una stradina di campagna, ma asfaltata. Pochi minuti, saranno stati 2-3 Km. Non era la villa in stile kitsch-hollywoodiano di altri camorristi, ma un vecchio casale contadino tutto ristrutturato e curato, con gusto.

C’era la mano di un architetto, probabilmente.

Però per chi aveva l’occhio giusto come Amy l’infrastruttura di sicurezza si vedeva, eccome.

Intorno al muraglione di tufo tutto nuovo, innalzato a quasi tre metri, si vedevano telecamere, dispositivi d’allarme, barre acuminate in ferro battuto ecc.

Sul cancello in ferro, senza spiragli ma tutto chiuso in modo da non poter vedere all’interno, c’era pure una bella targa in ceramica disegnata “Cave canem.”

Suonò.

“Chi è?”

Al videocitofono era una voce maschile, fortemente dialettale

“……sono il Commissario Salerno.”

Sentì delle voci un po’ concitate

“……ma è ’na femmena…”

Passarono più o meno una ventina di secondi, poi arrivò la voce di una donna anziana

“nu mument’ Cummissà…”

Il pesante cancello si aprì al rumore dei meccanismi e ai lampi di un paio di luci arancioni.

Mentre entrava in un cortile molto ampio, lastricato in parte e l’altra parte a giardino con piante in fiore e tantissimi alberi di agrumi vide una vecchietta, vestita di nero, che le veniva incontro. La casa era distante una quindicina di metri.

“Questa dev’essere Caterina” pensò subito.

Vestita di nero sì, ma nient’affatto trascurata o dimessa.

Dignitosa, anche se un po’ curva, avanzava verso di lei.

Doveva avere qualcosa di più di 70 anni a prima impressione.

“Buongiorno.”

“…Buon giorno – disse la donna, che si sforzava di parlare italiano – vuie siete ’nu Cummissario?” “Sì.”

“Proprie ‘nu Cummisarie…’nu Carabbiniere?”

“No, Polizia.”

“Va bbuone, è a stessa cosa.”

“E voi siete Caterina?”

Le dava del Voi, come si usa al Sud

“Comm’ ‘o sapite?”, s’insospetti la donna

“Me l’ha detto Totonn” con un ampio sorriso e calcando l’accento, per ingraziarsela.

“Ah, sì. È ’nu buone ’uajone. Va ’a Messa tutte ’e dimmeniche, cu ‘a mujera.”

“Posso mettere la macchina in garage? Dov’è?”

“Certo, sta qua la porta.”

Mentre la apriva, il Commissario dette un’occhiata rapidissima e scrutatrice all’interno, poi disse “No, grazie, non fa niente. La lascio fuori, mi sono ricordata che devo andare via subito.” “Trasimmo Cummissà. Ve faccio subbito ’nu cafè?”

“Grazie.”

Entrarono in un salone modernissimo, arredato con grande gusto. Solo alle pareti le tracce delle tradizioni contadine familiari.

Appesi tutt’intorno c’erano delle grandi foto – antiche, non vecchie – in bianco nero tutte ingiallite. Molte ovali, altre rettangolari, con delle grandi cornici in legno scuro.

Facce da contadini-padroni con grandi baffi, camiciole più o meno chiare.

E donne o con grandi chignon e colli sbottonati su vestiti rigorosamente neri, o con camiciole anch’esse con qualche ricamo che le ingentiliva, spettinate. Donne abituate a lavorare. E anche a comandare, si vedeva.

Quasi tutti, uomini o donne, piuttosto anziani, con carnagioni bruciate da sole e vento.

Quelli più giovani dimostravano almeno cinquant’anni.

Ma chi lo poteva dire. S’invecchiava molto più precocemente, un tempo.

Poi chi lavorava nei campi…

“Belle queste foto…”

“Songh’ tutte mmuorte Cummissà. Nonni, geniture e pariente varie…”

“E voi, Caterina avete figli, nipoti?”

“No. Tenevo ‘nu figlie ch’è muorto c’aveva 15 anni, tanto tiemp’ fa. Sò rimasta incinta a 18 anni…” “Mi dispiace. Non ne avete voluto fare un altro?”

“Mio marito nun ha vuluto” disse frettolosamente la donna.

“Sarà stato il dispiacere…”

“Mah, non credo…”

“E che credete?”

“Vedete Commissà quando è nato il bambino c’erano tante voci…”

Amy la guardò ma non interloquì, le fece solo un sorriso tutto femminile, un po’ complice, per invitarla a parlare.

“Dicevano che era figlie a Gennaro, o a Eugenio – ‘o frate ‘e Gennaro – o a Salvatore ‘u zio…”

“E non era vero?”

“E che ne saccie Commissà. Quelli ogni tanto venivano a’ casa mia. A fa quello che vulevano.

‘Ie ero giovane, bella… e pure Menichiello se ne steva zitto. Erano i padrune. I padrune ‘e tutto, Commissà. Quann’è nato ’stu figlio, Giovanni – comm’era bello – tutt’ facevane i cumplimente a Menichiell: evviva ’o pate, evviva ’o pate! Ma isso…”

“Ma lui?”

“Isso dicette sulamente ‘sì è vero!…’ e ‘sti parole so addiventate famose, Commissà : ‘sì è vero, dicette Menichiello!’. Quella notte Menichiello ha durmito ‘n campagna, io so’ stata tutta sola cu ‘a creatura. Ma ‘u iuorn’ appriesso è turnate e m’ha abbracciate. Nun n’avemm’ parlate cchiù ‘e ‘stu fatto”

“Ma com’è morto vostro figlio Giovanni, così giovane?”

“E chist’ è ‘n’atu mistero Commissà. Mano a mano che cresceva, Gennaro l’ha sempe seguito e curato. L’ha mannato ‘a scola, nun ha vuluto che lavurasse ‘a terra comme a nuje e po’…”

“Poi?”

“Da quann’aveva 12-13 anni Gennaro so’ purtava fore cu’ isso sempe cchiù spesso e hanno pure cuminciate a fa tarde a sera. Ie ‘na vota me mettette a strillà cu’ Gennaro, tanto Menichiello steva sempe zitto… ma Gennnaro diceva che ‘o uajone se stava a fa grande, aveva ascì e accummincia a cunosce ‘o munno, ‘e femmene. E rideva, rideva…”

“Ma non aveva suo figlio legittimo, Antonio?”

“Non ancora. Quello è nato quando mio figlio aveva 14 anni. Crescette cu ‘a mamma, ‘a signora ‘Ndunetta.”

“La signora Antonietta, quella morta in quello strano incidente?”

“Allora ‘o sapite ch’è strano, Commissà!”

“Sì, certo. E vostro figlio com’è morto?”

“E chi ‘o sape… na sera ascette cu’ Gennaro, ‘o chiammava zì Gennà. Se facettere ‘i tre ‘e notte e nun turnavano. Chiuveva forte forte, chella notte, ie nun sapeva cchiù a chi addimanà dint’ a casa, ma nisciune sapeva niente. Po’ se sentette ‘na machina e arrivaje Gennaro cu Giuvanne ‘mbracce. Pieno di sangue che nun parlava e manco respirava… facietti ’nu strillo che se sarrà sentito fino a Napule…”

“Che era successo?”

“E chi ‘o sape? Gennaro dicette che li avevano aggrediti, di notte, magari erano ladri… sì, ladri contr’a isso! ‘O sapevano tutt’ ca era ‘o capo da Famiglia cchiù putente ‘e tutta Santa Maria…”

“Ma tuo figlio?”

“Aveva doje pertuse, uno ‘n pietto e ‘n’ate ndo’ stommacche. ‘O sangue asciva pure da vocca. Murette quase subbito, ‘ngoppe ‘o lietto.”

“Non l’avete portato all’ospedale?”

“Se! Gennaro chiamò il suo medico personale che disse che non c’era più niente a fa. Je stette a strillà e chiagne tutta ‘a notte.”

“Ma non venne la Polizia?”

“Nisciuno sapette niente. ‘O medico fece ‘nu certificato ‘e morte fauso. Nun saccio se scrivette che aveve avuto ‘n ictus, si se dice accussì. Tutto fu messo a silenzio. Organizzarono ‘o funerale in quattro e quattr’otto. Giuvanne mio aveva fatto da poco 16 anni.”

“E tu non dicesti niente?”

“Che putevo fa? Pure Menichiello me dicette ‘e sta zitta. M’avrebbero sulo pigliate pe’ pazza…”

Si sentirono dei passi. Caterina si alzò subito, come ricomponendosi.

“Sta arrivanne Don Antonio.”

“Buongiorno, come sta, signora…?”

“Sono il Commissario Salerno.”

Era certamente un bell’uomo. Alto bruno, abbronzato, vestito con eleganza, con giacca scura, pantaloni beige e camicia bianca, senza cravatta. Capelli nerissimi, ricci e folti, occhi grigio verdi, sorriso smagliante e accattivante.

Un vero tipo meridionale.

Lei pensò alla canzone “‘O Sarracino” di Renato Carosone.

Fissandole gli occhi addosso alla camicetta appena leggermente aperta sul bel seno, ma senza essere volgare, le disse:

“Immagino lei sappia che tutti noi uomini vorremmo incontrare donne come lei, meglio se non fossero Commissari di Polizia. Lei è una gran bella donna.”

“Anche lei è un bell’uomo”,lo sorprese lei con molta naturalezza,

“…..ma non sono qui in veste ufficiale, solo una visita di cortesia. Lei è una persona importante, e io sono arrivata da poco a dirigere il Commissariato qui a Santa Maria.”

“Ha fatto benissimo, anzi vorrei invitarla a cena signora…?”

“Mi chiamo Amy Salerno. Ma per la cena non è il caso. A meno che non vogliamo andare anche con la signora Caterina e io magari mi porto l’agente Antonio Annarumma. È molto simpatico sa? E la signora Caterina è squisita, ho già visto.”

Lui nascose il suo disappunto con eleganza.

Si vedeva che non era abituato a essere contraddetto.

“Certamente. Per la prima volta… va benissimo”, fissandola nuovamente.

“Magari mi racconta delle nuove attività della vostra azienda di famiglia. Un’azienda molto ricca.”

“Sono molte aziende ormai. Storicamente la nostra famiglia nasce contadina, proprietari terrieri che però lavoravano anch’essi nei campi. Abbiamo ancora molte proprietà terriere con aziende agricole, di allevamento, casearie con la produzione di ogni genere di derivato dalle bufale naturalmente – sorrise – ma oggi ci siamo diversificati tantissimo. La più grande sta a qualche chilometro da qua, tra Sparanise e Francolise. Ma io ho una formazione diversa. Mio padre mi ha fatto studiare e laureare in Inghilterra e sono soprattutto un conoscitore, molto modesto, di finanza, di investimenti…”

“Già, investimenti non tutti chiarissimi. Ma solo per me che sono un’ignorante – lo incalzò lei che aveva notato un suo impercettibile cambiamento d’espressione – ma forse sono più i vostri metodi che noi non conosciamo bene… poi sono successe e succedono tante cose che in qualche modo la gente e i giornali riportano a voi, alla vostra Famiglia…”

“Sì, ci manca solo che ne parla pure Saviano. Comm’è triste chist’omme – rise lui, usando per la prima volta un po’ di dialetto – non sembra mai un meridionale comme a ‘nnuje. E poi sta sempre da Fazio, in Tv. Buono pure quello. È o vero, Amy?”

“Sono sempre il Commissario Salerno. Magari un giorno saremo più in confidenza, lei mi confesserà qualcosa… sa, col mio lavoro…”, lo sfidò sorridendo e guardandolo fisso lei, stavolta.

“Prende qualcosa?”

“Caterina mi ha già fatto un ottimo caffè, grazie.”

“Caterina è preziosa. Le vogliamo tutti bene. La nostra vecchia e nuova mamma.”

“Avete ragione a tenervela stretta. È una di quelle donne di cui si dice che non se ne fanno più. Ma ora devo proprio andare.”

“Sono sicuro che diventeremo amici.”

“Io sono sicura che ci rivedremo.”

“La sua macchina è in cortile?”

“No, ho parcheggiato fuori.”

“L’accompagno.”

“Lasci, vado con Caterina. Ormai siamo amiche.”

“Pensaci tu Catarì”, disse lui con un’occhiata d’intesa.

Uscirono in cortile.

Appena si furono un po’ allontanati dalla casa, Amy le disse sottovoce:

“Sei stata tu, vero, Caterina?”

“A ‘ffà che Commissà?”

“A dar fuoco alle macchine prima, a rubare le galline poi. E l’hai detto ad Annarumma. Volevi che venisse la Polizia.”

“Ma che dite Commissà?”

“Solo uno da dentro può essere stato. Con tutti quegli apparati di sicurezza un ladro di galline non ci prova nemmeno. E l’incendio in garage poi…”

“Ma ‘a Polizia nun dice mai niente…”

“Senza denunce noi non possiamo muoverci, Caterina. Ma ho visto che l’incendio è stato in garage. Se vuoi che noi ci muoviamo, che scopriamo della morte di tuo figlio – e la guardò fisso negli occhi – da oggi devi tenere occhi e orecchie aperti e riuscire a scoprire qualcosa. Solo così riapriremo le indagini, riesumeremo il corpo di tuo figlio e vedrai che qualcosa lo scopriremo di sicuro.”

“Uocchie e auriecche apierte ce l’ho già da un po’ di tempo e ‘nu poche ‘e cose già le so. Non se sono nemmeno accorti. Antonio dice a tutti che di me ci si può fidare. Ma… comme se fa a scuprì di mio figlio? Chille è mmuorte ‘a tant’anne…”

“Catarì, oggi si possono fare miracoli con le nuove tecniche. Pure dopo decine di anni. Piuttosto dobbiamo fare attenzione per parlarci. Organizzeremo gli incontri attraverso Annarumma. Magari ci vediamo in Sagrestia. Ti farò sapere.”

“Voglio scuprì chi ha accise mio figlio, Commissà. Primma che moro ie.”

“E vuoi che due femmine del Sud non ci riescono?” sorrise Amy.

Le dette due baci sulle guance abbracciandola e se ne andò.

Appena Caterina rientrò, Antonio le andò incontro e l’abbracciò.

“Quella femmina m’interessa Catarì, per diversi motivi. Devi avere tutte le informazioni che puoi su di lei. E magari ci devi entrare in confidenza. Di te penserà che si può fidare”, disse sorridendo.

“Mò comincio a chiedere qualcosa a Totonn’. Lavora cu’ essa, è ‘nu sbirro. Ie ‘o vedo tutte ‘e dimmeniche ‘a Messa…”

“Brava Catarì”, l’abbracciò stringendola a se e facendola girare, affettuosamente.

Intanto Amy stava tornando in macchina.

Stasera me ne vado a ballare con le mie grandi amiche, Susy, Ada e Maria Carolina, che mi vengono a trovare.

Era soddisfatta.

Mi sa che questa storia della famiglia Gaglione e di Caterina è appena iniziata, pensò.

E nemmeno tanto male.

(al prossimo 2° capitolo)