IL MENTORING

IL MENTORING

rivolgiamo qualche domande a

Matteo Perchiazzi

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Direttore e fondatore SIMScuola Italiana di Mentoring dopo 20 anni di studi, consulente e formatore, esperto riconosciuto in Italia e Europa.

Partner unico italiano CMI – Clutterbuck (Coaching and Mentoring International), collabora con il massimo esponente mondiale della Metodologia David Clutterbuck,

Membro del ‘board EMCC International’ per la definizione e determinazione degli standard del mentoring ‘EMMC Italy’,referente codice etico, valori, competenze del Mentoring.

Consulente sviluppo risorse umane e formazione.

Ricercatore nel mercato del lavoro e metodologie di sviluppo risorse umane e metodologie della formazione.

Ricercatore sociale e del lavoro, valutazione e monitoraggio qualità servizi e azioni/progetti integrati.

Ricercatore all’università Lumsa di Roma in Psicologia del lavoro e delle organizzazioni.

Project Manager di progetti finanziati da Programmi Europei

Il Mentoring.

Il Mentoring è la forma più antica dei processi di socializzazione alla vita, al lavoro, alla scuola, in qualsiasi contesto sociale, sportivo, organizzativo… è la forma più antica di tramandare le regole del gioco, chi si vuole diventare, il linguaggio, i modelli di comportamento di un determinato contesto organizzativo.

Prima ancora che parlare di Mentoring nella modalità organizzata e formale come metodologia codificata, il Mentoring affonda nei processi naturali di socializzazione.

In tanti, autori e consulenti, riportano il Mentoring moderno ad un’origine anglosassone, mentre la sua vera natura si esplicita nei processi antropologici della e nella società in generale. Nella vita di tutti i giorni esiste in ogni contesto in cui si voglia facilitare il processo di formazione di un individuo con l’esperienza già maturata da un altro più esperto. .

Spesso e volentieri, chi si avvicina al Mentoring organizzato, pensa all’utilità immediata per lo Junior (Mentee), ma non si pensa al beneficio che ne trae il Senior “mentore”, nel trasmettere una storia lavorativa esemplare.

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Cosa apprende un Mentore da un programma di Mentoring?

Apprende e ha la possibilità di lasciare traccia nella storia, di avere un posto per far germogliare la propria esperienza.

Per chi beneficia della relazione con un Mentore, ricorda come si imparava di piccoli: ovvero, guardando gli altri..

Dai modelli nella a scuola: si guarda il compagno più integrato, al lavoro quello un po’ più bravo, e skillato… nella vita, l’amico più esperto: il Mentoring è questo. Prima ancora che una metodologia codificata, è una metodologia di apprendimento che affonda le sue origini nei processi naturali di socializzazione.

Abilità, la “competenza”, ovvero “lo skill”, che si impara scrutando ”il fare” di chi emerge nelle attività, come nello sport e come nello studio, perché da qui si impara “copiando” chi più bravo a giocare a pallone e chi più ottiene risultati migliori nello studio.

“Copiare” o cercare di imitare, cioè, chi è più “skillato”, ma non nel senso di diventare un clone, ma nel senso di essere ispirato.

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La formazione passa dalle biblioteche, prima palestra dell’insegnamento delle discipline e delle “arti e mestieri”, alla fase relazionale che il Mentore trasmette al “pupil”, o Mentee, superando la conoscenza teorica e impersonale delle parole scritte con l’apprendimento diretto che proviene dall’esperienza.

Che differenza c’è tra Mentoring e Coaching?

Questa è una delle domande classiche. Ci sono tante definizioni e approcci. Il Coach è un individuo che gestisce un processo di aiuto all’apprendimento su condizioni specifiche su tempi brevi che servono a migliorare competenze specifiche e “performance su di esse”. E’ l’allenatore di uno sport che accompagna l’allievo al risultato, che va dalla forma fisica a delle competenze di atteggiamento.

Il Mentore è colui che è chiamato a trasmettere la propria esperienza, come iniziale modello di riferimento: in psicologia dell’apprendimento si chiama “role modeling”.

Molte competenze nella gestione del processo di aiuto all’apprendimento sono in comune, ma cambia il patto iniziale.

Dal punto di vista della natura dell’apprendimento, l’effetto è sostanziale.

Usando un esempio concreto, io sono un Maestro di tennis. Potrei essere un Coach di un altro giocatore di tennis, , ma non posso esserne il Mentore perché non sono e non sono stato un atleta professionista.

Un’altra classica distinzione è che il Mentoring intende rispondere alla domanda “Chi voglio diventare”, mentre il Coaching lavora su “Quali sono i miei obiettivi”!

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Il gruppo di lavoro del Mentoring si struttura secondo tematiche che richiedono scambi continui di conoscenze fra i partecipanti per favorire il confronto e il consolidamento sociale delle relazioni.

Perchè un’organizzazione dovrebbe investire in un programma di Mentoring?

Perché le risorse interne di un’organizzazione non le conosce nessuno meglio che l’organizzazione stessa. Il Mentoring è un modo per mettere a sistema le competenze, le eccellenze, le storie lavorative della conduzione dirigenziale di un’azienda, dal livello dei quadri funzionali medi a quelli direttivi, per metterle al servizio della crescita delle nuove leve e dei potenziali talenti sulle quali si vuol far crescere l’azienda nel processo produttivo e relazionale dell’azienda stessa.

Ossia, il Mentoring mette “a sistema” le eccellenze di un’organizzazione, ne plasma la struttura operativa.

Quali sono i miti da sfatare in tema di Mentoring?

Normalmente quando si associa la parola Mentor, si pensa a un guru che risolve tutte le cose, quindi si pensa a Yoda, il personaggio fantastico di “Guerre Stellari”, ovvero si pensa a Mago Merlino, alle figure del mito storico o fiabesco che tutto risolvono.

Nel Mentoring, non esiste “il Mago”, perché il Mentore è la persona che “guida” attraverso le proprie esperienze, che riesce a trasmettere la propria storia come modello positivo, anche se non è un guru. E nei programmi di Mentoring formalizzato è assolutamente necessario che i Mentori vengano formati, altrimenti non si può parlare di Mentoring come metodologia sistematica e professionale. Anche il Mentore va dotato di competenze sulla metodologia in un programma specifico.

Quali sono le competenze di un Mentore?

Ci sono molti approcci, molte classificazioni. Le competenze chiave di un mentore sono quelle che hanno a che fare con la capacità della trasmissione della propria esperienza: lo storytelling è una delle più affascinanti, più interessanti da apprendere, usata sapientemente al fine di ispirare, ma senza modellizzare cloni.

La gestione dell’esempio positivo è una delle caratteristiche più belle dei percorsi di Mentoring, anche nella formazione.

Qual è la responsabilità che ho nei confronti di un mentee? Ci sono esercizi, in questo senso, che vanno nel profondo e che scavano sul come gestire l’esempio che viene portato a testimonianza, quali i valori, come possono essere messi al servizio dello sviluppo di chi opera nello stesso settore e come trasmetterlo agli altri?

Infine, è assolutamente centrale l’intelligenza emotiva, cioè la capacità di apprendimento attraverso le emozioni. Spesso, quando se ne parla, si intende l’aiuto a capire le emozioni dell’altro (che è tipico del Coaching). Nel Mentoring, invece, si parla di apprendimento anche attraverso le emozioni, cosa che invece in altri approcci è assolutamente vietato come nello councelling

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Quale etica nella gestione e nel fine dell’apprendimento nel processo cognitivo che il Mentoring adotta?

La gestione dell’esempio deve avvicinare il Mentee, deve fornire soluzioni e ispirazione.

Cisono molte altre competenze importanti nel “mentoring professionale”: capacità di “goal setting”, ovvero la capacità di individuazione degli obiettivi da sviluppare attraverso un ”action planning”, ovvero una programmazione comprensibile e certa negli indirizzi da percorrere, poi c’è il “questioning” ovvero la capacità di fare domande potenti e la capacità di “sounding board”, ovvero di essere un banco di prova per il Mentee.

Ma ogni fase del Mentoring deve avere la capacità di sviluppare uno “spazio di riflessione personale”, che in gergo è definito “PRS – Personal Reflective Space”.

Chi è in genere il soggetto che richiede il Mentoring?

Una qualsiasi struttura a livello aziendale, che sviluppa produzioni industriali di piccola, media e grande dimensione, che ha bisogno di formare le proprie strutture dell’organizzazione aziendale a tutti i livelli, dalle prestazioni amministrative e funzionali per il personale a quelle di specifica attività di produzione.

Al momento in Italia, anche molte grandi aziende cominciano a dotarsi di programmi di Mentoring interno, sia programmi informali, si gestiti e organizzati.

Può essere anche una Istituzione, che deve aggiornare e sviluppare i propri quadri secondo le esigenze che lo sviluppo delle prestazioni del personale, anche quello apicale della dirigenza, sia nelle mansioni tecniche sia in quelle amministrative richieste per il personale che si interfacciano continuamente all’interno della struttura e verso il sociale per la funzione pubblica che rappresenta.

Aspetto particolare è quello delle Istituzioni Militari e della Sicurezza, che richiedono una attenzione speciale, per l’ambito che rappresentano.

Esse costituiscono un riferimento sintomatico estremamente chiaro in quanto l’organigramma delle gerarchie, assolutamente verticali, per il loro impiego operativo e di formazione sono sempre più interconnesse nell’ essere “insieme” per un rendimento efficiente secondo “le modalità d’ingaggio” che, istituzionalmente, sono chiamate a rispettare.

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Come si scelgono il Mentore e il Mentee?

Un conto sono i processi di socializzazione naturali di cui si parlava prima. Un’altra cosa, è un programma di Mentoring per raggiungere un obiettivo di sviluppo personale e organizzativo, in cui si scelgono target Group di Mentor e Mentee. Un Mentor per un programma di Mentoring di talent management può essere un top manager o una persona con un incarico. Un altro conto è se organizzo un programma di Mentoring per la gestione di apprendisti o per creazione di back-up, in cui non può esserci un top manager, perché troppo lontano, ma dev’essere un responsabile di funzione, o altro, e quindi una persona che è vicina.

E invece come si scelgono fra di loro i Mentor ed i Mentee?

Secondo la mia esperienza, “i matrimoni combinati” non funzionano”: quindi è necessario inserire nei programmi di Mentoring dei momenti in cui i Mentor ed i Mentee prima si conoscano, e poi abbiano la possibilità di scegliersi. In un secondo momento poi possono essere tenuti in considerazione anche dei criteri oggettivi: non troppa distanza anagrafica, proprio per il discorso di vicinanza e lontananza, a volte è bene che ci siano coppie di Mentor-Mentee dello stesso genere, di stessi ruoli organizzativi ecc, altre volte no. Criteri oggettivi, quindi, su cui i due devono essere “abbinati”.

Altre caratteristiche naturali favoriscono il loro accordo operativo nel processo Mentoring e riguardano le assonanze sensoriali umane, dalla simpatia, alla attitudine al sentirsi solidale verso il prossimo e, non ultimo, alle predisposizioni personali che a livello sensoriale costituiscono le pre-competenze necessarie a costituire insieme, Mentore e Mentee, una cellula autonoma sì, ma integrati nel più vasto programma- di apprendimento basato sul Mentoring.

Scivolando, in una espressione che non è vuota metafora, nell’alea “socratica” del rapporto fra un “Maestro” e un “discepolo” quale riferimento imprescindibile per interpretare l’aspetto dei valori predetti che si intende instaurare.

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