……..abbiamo “sfrondato”, nell’edizione di febbraio, la foresta di Pizzofalcone per cercare di semplificare i caratteri peculiari e rappresentativi di questa parte della città: viabilità, tipologia degli insediamenti urbani, emergenze e quindi, in un certo senso,

la riconoscibilità del suo insieme di segni e di immagini,la consistenza della sua identità storica consolidata e quel che resta per continuare a farla vivere, non come scoglio del mare dell’ acqua salata che “passa e va”, o che s’infrange e piano piano, lentamente, nei secoli lo consuma, perché scoglio nel mare della città, che non solo assorbe i suoi percorsi, ma li filtra e li restituisce, che individua la polarità ed il volano della Storia che ancora si rinnova ed è il faro di sempre nuovi approdi.

i l p i z z o s o t t o s o p r a

di NunzioSeminara

 

Scoglio”, che non è solo metafora.

Non è solo immagine oleografica del panorama. Il “pizzo di Pizzofalconecome la mano tesa di Neapolis all’approdo di Megaride, incastonata ormai nella terra ferma, quasi un sigillo nell’abbraccio della strada lungo costa.

 

L’accenno sulla sua geomorfologia, anticipato nell’edizione di febbraio, qui è descritto, seppur sommariamente (gli studiosi avranno da dire di più, senz’altro, ma qui siamo in un contesto non scientifico perché di esposizione ai “non addetti”)rivela come lo stesso territorio fisico sia la substruttura, che chiamiamo il subterritorio o, in parole semplici e stradaiole, quello che c’è sotto l’intera città.

Che poi è tutto il territorio di Napoli.

Persino oltre il mare. Nel Golfo. E nelle sue isole.

Tutto parte dal Vesuvio. Quindi dall’origine vulcanica che si presenta in una vasta area costituita prevalentemente da tufo, ovvero da rocce piroclastiche, così dette perché provenienti dalle eruzioni vulcaniche (il greco sempre insegna: pyr=fuoco e klastos=frammenti), che caratterizzano l’aspetto geologico di una intera regione, o quasi. E che, nel nostro caso hanno un origine di circa 13-14.000 di anni.

Il tufo, materiale litoide conosciutissimo in specie per la sua formazione in mattoni, componenti essenziali per le murature di rinforzo, dalle opere in sottofondazione ai muri di sostegno nelle scarpate o per le recinzioni,di colore chiarissimo, giallo, marrone, adesso in uso solo per costruzioni non destinate all’edilizia “abitativa”, residenziale e infrastrutturale, in quanto emette il radon, gas inerte che per la sua radioattività, nociva alla salute, e perciò ne è stato vietato l’uso.

Viene ancora utilizzato per le piccole opere esterne, perimetrazioni o contrafforti per muri di sostegno, comunque per lavorazioni in zone ventilate, ovvero a cielo aperto”.

 

Muretto di perimetrazione in un giardino

Dopo queste prime informazioni, è però necessario accennare al processo di caratterizzazione del sottosuolo di Pizzofalcone, cioè la sua formazione e, come già anticipato, naturalmente con parole semplici.

I piccolissimi frammenti, da qualche millimetro in su, emessi dalle eruzioni e proiettati fino a molti chilometri di distanza dai crateri vulcanici, nel nostro caso dal Vesuvio, quando si posano al suolo, ancora roventi, si amalgamano in grandi strati che poi, accumulandosi nelle successive eruzioni, mentre si raffreddano naturalmente nel tempo sono raffreddati repentinamente da precipitazioni meteoriche, spesso di acque piovane ricche di ali minerali in particolare alcalini (polveri di calcio, come le sabbie nordafricane portate dai venti), si trasformano in materiale molto consistente, fino a diventare assai duro. Lo strato più vicino alla superficie esterna, più “giovane” di migliaia di anni, …., viene chiamato cappellaccio, termine che indica in genere tutte le conformazioni geologiche che si trovano fin quasi superficie, meno coerente,e comunque dalle caratteristiche di elevata resistenza ai carichi sovrastanti.

Ma più si è in profondità e più il peso degli strati superiori favorisce la “compattazione” del materiale che nel tempo accresce la sua durezza.

 

 

Esempio di un fenomeno simile al Pizzofalcone,

il cappellaccio del sottosuolo della Rocca di Ardea,

Comune compreso in vasta zona vulcanica dei Colli Albani.

 

Curiosità:

l’isola di Ponza, antistante al litorale di Ardea, contiene cave-giacimenti di una molto nota tipologia di bentonite, polvere-cenere delle eruzioni di cui si descriverà più avanti quanto sia utile la loro applicazione nei lavori di consolidamento del sottosuolo.

A volte la compattazione presenta alcune piccole fessurazioni, dovute a molte cause, non ultime quelle di infiltrazioni di liquidi nelle piccolissime lesioni, quasi capillature non chiuse nella naturale sedimentazione del materiale tufaceo dove il cappellaccio è meno coerente(vfoto che seguono).

La presenza di queste microfratture dei materiali è importantissima, perché nelle formazioni ancora porose, possono degenerare con sgretolamenti e cedimenti parziali che possono aumentare e moltiplicarsi. Già si è detto che qualsiasi materiale, in situazione di sollecitazioni sismiche, se non è disomogeneo anche parzialmente,può determinare effetti preoccupanti alla staticità delle strutture sovrastanti.

 

Configurazione di cappellaccio dalla struttura non omogenea per la presenza di materiali con diversa composizione (calcari) che testimoniano date successive di formazione e con evidenti microfessurazioni e di degrado

Stati di fessurazione.

Il monitoraggio delle fessurazioni nelle zone accessibili è essenziale.

La loro sigillatura può essere fatta da composti liquidi concementi ad elevata aderenza contenenti additivi idonei e/o polveri piroclastiche.

Impasti con cementi: sono possibili perché favoriti dall’amalgama efficace già riscontrato negli impasti con la pozzolana, che è terra tufacea.

Impasti con polveri piroclastiche”: gli stessi piroclasti hanno specificità particolari quando sono di granulometria infinitesimale, quasi “ceneri”, a volte argillose (montmorillonite: parola difficile per i non addetti, ma è una tipologia di argilla), che in particolari condizioni diventano “bentonite”, polveri sottilissime e quasi impercettibili che negli impasti con acque naturali, in genere ricche di calcio, o con liquidi additivati diventano plastiche e aderiscono alle superfici rocciose, in specie se della stessa natura tufacea.

Ma, per la loro impermeabilità, le miscelazioni con materiali così composti vengono usate per formare diaframmi di elevate dimensioni,dove costituiscono anche l’ancoraggio con il terreno, in particolare alla base delle “dighe in terra” (così chiamate quelle realizzate in bacini molto bassi ed estesi).

 

Per la cronaca:

tali lavorazioni sono in corso di approntamento per opere di ripresa e ri-consolidamento della Diga di Mosul, in Irak, della quale si parla tanto nei nostri giorni e dove diaframmi e sigillature sembra che siano deteriorate dai composti di miscelazione, che sembrerebbe siano costituiti da molti calcari che degradano nel tempo. Di seguito vengono riportate immagini riprese da lavorazioni della stessa TREVI, che eseguì (Mozambico, anni 1983-1987)quelle lavorazioni (opera ex novo e non di riprese) nella Diga del Corumana (n.d.r.: per conto del Consorzio CO.BO.CO), dalle dimensioni assai simili a quella di Mosul.

 

 

Diga del Corumana, 1983 – Piattaforma per la

miscelazione della bentonite – TREVI S.p.A.

 

 

 Mozambico, diga in terra del CorumanaEsecuzione di scavi “in trincea” e di trivellazioni per le iniezioni di composti betonitici del diaframma impermeabile e di ancoraggioTREVI S.p.A.

 

Le conformazioni di materiali litoidi (rocce), sono coperte da strati di terre, in prevalenza dalle stesse caratteristiche dei composti delle rocce sottostanti.

Nel nostro caso, il tufo di Pizzofalcone è coperto da terre pozzolaniche o pozzolana,materiale anch’esso di origine piroclastica, di conformazione granulare dello spessore di pochi millimetri. E’ stata usata dall’epoca dei romani nella realizzazione di leganti e malte con impasti di calce spenta per le proprietà notevoli dal punto di vista strutturale, per la facile lavorabilità e per la durabilità nel tempo. Ma oggi l’impasto di calce e pozzolana è sostituito da cemento e sabbia per la sua tossicità.

 

Schema della sezione trasversale del sottosuolo di Pizzofalcone: ripido

affaccio sulla riviera di Chiaja (versante Calascione), e declivio verso area del porto,

 

 

Schema della sezione longitudinale del sottosuolo di Pizzofalcone: formazioni

di terre pozzolaniche nelle estremità di Via Chiaja e di Via hiatamone – S. Lucia

 

Perché tali dissertazioni?

Perché il nostro Pizzofalcone, che è costituito da prevalente struttura di roccia tufacea con tutto quello che comprende questa classificazione geologica, comporta un attento monitoraggio in ogni sua parte,come già accennato nel “pezzo” di febbraio (“Mozione d’Ordine a Pizzofalcone”), in quanto trattandosi di zona ad elevato rischio sismico deve garantire la sua consistenza per le fondazioni del nucleo urbano sovrastante.

La tecnica di sigillatura dei fenomeni fessurazione, ricorre agli impasti già menzionati, cioè alle miscelazioni con materiali bentonitici,o a nuove tecnologie più raffinate e sperimentate con prodotti di nuovi cementi ad elevata espansione ed impermeabili.

Per chiudere le fessurazioni, il composto dei composti miscelati non è soltanto immesso “a caduta naturale”, perché spesso la lavorazione richiede iniezioni forzate dei prodotti: lavorazione complessa in zone difficili da raggiungere.

 

 

Esempio di degrado del tufo

 

 

Cantiere della Metro Napoli – Ansaldo STS

Esempio di sigillatura del tufo, dalla

scheda tecnica della TREVI S.p.A.

 

Cioè, anche per qualsiasi terreno tufaceo o roccioso naturale, si ricorre alla stessa tecnica per la realizzazione infrastrutturali di opere artificiali di grandi dimensioni.

Tutto il fronte campano è caratterizzato da terreni tufacei, più o meno consistenti e, più è vicino al Vesuvio, più è evidente.

Pizzofalcone, Posillipo e tutta la città del Golfo presentano queste caratteristiche di eruzioni piroclastiche, espulse nella vasta area del Golfo,da Mergellina e Posillipo fino a Nisida e all’Isola di Procida.

Conformazioni geologiche di origine vulcanica, ma di altra natura, sono quelle dell’area napoletana dei Campi Flegrei: se ne parlerà in altra edizione di pizzofalcone on-line.

Per ora restiamo qui, con la piccola isola di Megaride alle spalle e, davanti,la punta del nostro “scoglio” sul Golfo.

 

La punta del pizzo fra Chiatamone e Chiaja

 

La punta o “sperone”, o “pizzo”, come tutte le parti “di bordo” di un rilievo di natura geologica rocciosa, ha sempre avuto qualche problema di staticità, in quanto costituito, verso l’esterno da “copertura naturale”, cioè materiale meno coerente, a volte franoso, perché costituito,come nel nostro caso, da terre pozzolaniche (vv. schemi già rappresentati). In sommità, quasi riaffiorasse uno spuntone marino sull’acqua, emerge una formazione di tufo abbastanza compatta, con inconfutabili testimonianze di epoca romana (vestigia della Neapolis).

Le nicchie di origine romana presentano fessurazioni nel tufo

Piazzola in sommità del belvedere con emergenza del tufo lesionato

 

Composizione del tufo in sommità, lesionato e

presenze di materiale non omogeneo

 

Sono però evidenti fenomeni di fessurazioni, anche aperte, come fossero effetti di spostamenti provenienti dal basso: effetto “frusta”, che, dal leggero movimento alla base (si parla di un dislivello di circa 56 metri) provoca nella superficie estrema lesioni più o meno aperte.

Inoltre, le diffuse cavità del bordo dello “scoglio” sulla Via Chiatamone, che certamente hanno determinato cedimenti del costone, erano dovute non tanto al degrado del tufo, quanto alle “visite” non proprio occasionali di chi si procurava un primario ed essenziale materiale di costruzione, sia per il taglio delle parti più coerenti secondo le dimensioni dei mattoni di tufo, sia per le terre pozzolaniche necessarie alla formazioni degli impasti dei leganti delle murature, sia per le parti di recupero, gli “spezzoni”, usati allora, come oggi, per la chiusura di varchi o per pavimentazioni di esterni e di contenimento di rilevati o di drenaggi nei terreni di riporto (vv. foto successiva).

 

 

(n.d.r.: ricordiamo che la storia delle costruzioni ripropone sempre il “riuso” dei materiali per nuove realizzazioni, come avvenne per i travertini ed i marmi pregiatissimi di epoca romana che sono stati “ri-usati” per le chiese rinascimentali e barocche, dal Colosseum alla Basilica di San Pietro).

Cioè, Monte Echia, ovvero Pizzofalcone, è stato una cava naturale di materiali “sotto di séper le costruzioni napoletane, magari le stesse che si realizzavano “sopra di sé”.

Fin qui l’analisi della conformazione del Monte Echia-Pizzofalconenel proprio interno”.

Al prossimo turno l’approfondimento sarà inevitabile ilsottosopra” di Pizzofalcone, è inevitabile cominciare proprio da sotto e dentro il suo “pizzo”.

Con qualche passo indietro nel tempo, ma non troppo tempo fa.

….alla prossima che verrà.