N U N Z I A T E L L A

I   C A N T O S

Gabriele Albarosa è il cantore

 

 

CANTO QUINTO

 

LIBERA USCITA!
[Metamorfosi militare – preparazione libera uscita – la “drop” – locali e non – strade di Napoli – pizza – rientro]

Bastarono sei giorni per l’Eterno
A completare l’opus del Creato:
I cieli e il mar, la terra sul suo perno,

Pria di fermarsi un poco a prender fiato;
Bastarono sei giorni pe’l Maniero
A imprimer la matrice del soldato:

 

Da tondo a quadro, all’erta, mattiniero,
M’aveva fatto, e all’agognata sosta
Quel Sabato, non mi pareva vero,

Sarebbe stato dato il ‘nulla osta’
Per qualche ora fuori dal portone,
Grato sollievo dopo la batosta

D’essersi ritrovato “Cappellone”!
Tirava un’aria strana, in camerata,
Di giubilo condito d’apprensione;



Toglievo la mimetica sudata
Ed indossavo, per la prima volta,
La “drop”: camicia e giacca abbottonata,

cravatta cachi doppiamente avvolta
In nodo Windsor ostico al novizio
E, per un’andatura un po’ più sciolta,

La scarpa bassa e poi, quasi uno sfizio,
Il basco, ad imitar quella criniera
Di cui non rimaneva che un indizio.


Era stupefacente la maniera
E la realtà del nostro mutamento:
A fronte del ricordo di com’era,

Ciascuno non riusciva nell’intento
Di scerner se non l’ombra di se stesso
Nel Militare il quale, in quel momento,

Specchiandosi e guatando il suo riflesso,
Gli si parava, incredulo e marziale,
Separator del prima dall’adesso.

Non è che quel guardar fosse normale
(La vanità bandita oltre confine)
È che quell’occasione era speciale

…Ammesso che giungesse a lieto fine…
Perché, per il permesso dell’uscita,
C’era da stare sempre sulle spine!

Eccoci in adunata, con le dita
In croce (solo in modo figurato)
E l’Istruttore, della mèta ambita

 

 

Sol giudice, deambula da un lato
All’altro delle righe sull'”Attenti”,
Seriosamente a dispensare il fato,

Passando senza rilasciar commenti
Oppur sancendo il lodo negatore:
“Male, si accomodi!” detto tra i denti,

Qualificando del dissacratore
Il torto: “scarpe sporche”; “barba lunga”
E relegando questo, per l’errore,

Ad una fila che via via si allunga
Di “consegnàti”, ai quali, tristemente
Benché loro esclusione ancor li punga,

Viene ordinato che immediatamente
“Si cambino in mimetica, ed in fretta!
Rammaricarsi adesso non val niente!”

Io la scampai, restando in quella fetta
Di incolumi al rigor della rivista;
“Fianco sinist’!” e un’ultima corsetta

Per giungere a goder della conquista
Nell’anticamera del parlatorio
Dove l’afflusso sùbito si smista,

Con semplice criterio divisorio,
In due fazioni: o con i genitori,
Di casa nel vicino territorio,

O senza, per i più che più da fuori
Erano giunti, or pronti ad esplorare
Partenope, che dentro ai loro cuori

Avrebbe preso, piano, a dimorare.
Io, di questi ultimi caso lampante:
Alpino, lontanissimo dal mare,



Avevo concordato, il giorno avante,
Con Carmine, l’Anziano mio padrino,
Di visitare l’area circostante

Insieme, per cui io, suo beniamino,
Lo venni sveltamente ad incontrare,
Pronto per avviarmi sul cammino.

Varcammo finalmente quella soglia
Che l’uniforme, semanticamente,
Fa diventar “divisa” per chi voglia

– Tra chi l’indossa e il resto della gente –
Evidenziar del vivere il contrasto;
Ma in verità quel dì, sartorialmente,

Lo iato non poteva esser più vasto
Fra noi: lui Scelto, con kepì e spadino;
Io “kaps”, la giacca quasi come un basto,

Goffissimo affiancato al damerino!
(La “storica” con giubba su misura,
Cucita con lavoro certosino

Da mano esperta, rapida e sicura,
Necessitava alcune settimane
Per esser pronta a prima vestitura).

Scendemmo allor le vie napoletane
Dal monte Echia alla Piazza Plebiscito
In un destarsi delle cose umane

Che confondevano vista ed udito:
Multicolori i panni tra i balconi;
Zig-zag di motorino che impazzito,

Aizzando la cacofonia di suoni
Dei clacson, invadeva la corsia;
Ovunque, al chiaroscuro degli androni,

Antichi sguardi, ciechi all’anarchia
Dei vicoli nei qual’ sacro e profano,
Gente di strada ed aristocrazia,



Sembravan esser fusi in modo strano.
Con tale ebbrezza multi-sensoriale
Fui battezzato in quel tessuto urbano

Dalla natura in tutto ortogonale
All’ordine e al rigore della Scuola:
“…Media di opposti madre del normale?”

– Pensai, prima di profferir parola
Per dire: “mi è venuto un languorino!”
Mentre attraversavamo una piazzola;

Sorrise a questo punto il mio padrino,
Ed indicando un buco lì d’appresso
Con gusto dichiarò: “quel posticino,

Che per l’ignaro può apparir malmesso
Fa pizze eccezionali per due lire:
È un luogo in cui ritorno molto spesso



– Vieni! – così vedrai che voglio dire!”
Poi certo gli dovetti dar ragione:
In estasi di fronte al comparire



Del ben di Dio sfornato dal garzone;
E qui parlammo a lungo della scelta
D’entrambi di seguir la vocazione

Così precoce in ambito marziale; 
Dei primi giorni duri e del cimento
Ancora da venire, e fu speciale

Il suo supporto ed incoraggiamento
Finché non venne l’ora di tornare;
Pagato il conto, sazi, a passo lento,

Passammo per il quieto lungomare
E giunti sulla soglia del portone,
Chiudendo gli occhi prima di rientrare…



Con un sospiro torno Cappellone.