CANTO  VIII

 

o viceversa?

 

 

Gabriele Albarosa

è il cantore

 

CANTO OTTAVO:

 

IL GIURAMENTO

 

“Più caro della vita abbi l’onore” –

Dice la scritta in alto, nel Cortile;

Mentre la fissi, in preda al batticuore,

 

D’un’elsa il lampo fulgido, sottile,

T’abbaglia e tu lo sai che quello è il segno

Dell’imminente, rapida e virile

 

 

Consegna di cavalleresco pegno,

Emblema della condiziòn d’Allievo,

Al grido: “Accettalo!…e siine degno!”.

 

 

 

Lo accetti e a mo’ d’accetta sul rilievo

Dell’òmero – l’acròmion – la puntuta

Estremità s’abbatte e se è un sollievo

 

 

Il fatto che l’azione sia compiuta,

Il fuoco è quel di chi il peperoncino

Ha divorato intero a sua insaputa.

 

 

Di fronte a te è schierato il tuo padrino,

Sogghigna… e tu, ‘figlioccio’, sull'”Attenti!”,

Ora che hai ricevuto lo spadino

 

 

Dinanzi a tutti, Autorità e parenti,

Ti senti grande, fiero, amato, armato,

Emozionato, al primo degli eventi

 

 

In cui ciò che s’è appreso è dimostrato

Secondo i crismi di un cerimoniale

Che l’oggi riconnette col passato.

 

…Cadetto! Or’ tra ‘ diversi sei normale:

Vesti la notte e l’astri suoi d’argento

In petto, a retro e ai lati, sul bracciale;

 

Di cielo azzurro, sotto, è l’indumento

Che avvolge l’apparato ambulatorio;

Ha il nastro pretestato e, in alto, il mento

 

Solletica un colletto da oratorio

(Quell’elegante, candido ma bièco

Cilicio del canàl respiratorio!);

 

 

 

 

All’apice, perché tu non sia cieco

Quando fa sole o quando piove nudo,

Porti il kepì col numero che teco

 

Custodirai per sempre a mo’ di scudo

Di fronte agli accidenti della vita…

Quel minimo ch’è somma magnitudo.

 

…Cadetto! E finalmente fu finita

L’investitura che era solo il primo atto,

Proemio di una mèta ancor più ambita:

 

Il “Giuramento”, il nobile contratto

Tra Noi, d’arme i più giovani d’Italia,

E Patria – l’indomani – un cor compatto.

 

Per questo evento, giunti a far da bàlia,

Un’orda di ex-Allievi, d’ogni donde

E d’ogni quando, incede e tutti ammàlia

 

 

Mentr’essa si riversa come l’onde

Ovunque, nei recessi del Maniero;

E al tal che chiama, il tizio che risponde

 

Accorre e poi, con sentimento vero,

Abbraccia, impreca e bacia e si commuove;

Un “nostos” che somiglia a quel d’Omero,

 

 

Parthenope, non Ithaca il suo “dove”.

Mi resi conto allora che quel giorno

Se noi ci affacciavamo a strade nuove,

 

Loro, nel celebrar tanto il ritorno,

Di quelle la natura circolare

Testimoniàvan tutti quanti intorno.

 

 

Alcuni si fermarono a parlare,

Contando loro antica goliardia,

Chi per vantarsi, chi per confortare:

 

– “…Ai tempi miei pure l’infermeria

Non era immune dal cappellonaggio…”

– “Hai visto che ora c’è la sartoria

 

 

Dove una volta si teneva ostaggio

Quello punito, in cella di ‘rigore’?

Sul tavolaccio lo colpiva il raggio

 

 

Retato per le sbarre ed il bagliore

Del sòl color rossastro, al tramontare

Sul golfo ch’era tutto uno splendore!”

 

 

 

…Ma anche: “Kaps, sei forte, non mollare!

Per quanto sia spossante la salita

Tortuoso e lungo ancora il camminare,

 

 

 

Non è, seppure scuro, senza uscita

Il tunnel – dico – non etterno dura;

Abbi speranza, ch’è quasi finita!”

 

E come l’acqua lenta ma sicura

Seguendo l’oscillare della luna

Arretra e lascia sol sua sfumatura

 

 

Così Lor voci piano, ad una ad una,

Scemarono alla volta del portone

Finché non ve ne fu di più nessuna.

 

Quindi anche noi, plotone per plotone,

Ci ritirammo tutti in camerata

Esausti per l’eccesso d’emozione

 

 

Di quella e della prossima giornata

Di cerimonie: l’una entro le mura,

La successiva in pubblica parata.

 

Or venne il sonno a offrirci la sua cura,

Sicché, rigenerati, l’indomani

Gagliardi continuammo l’avventura

 

Sfilando, e io dirò che non fur vani

I tanti addestramenti marzïali:

Coperti, allineati, piedi e mani,

 

 

In resta, in movimento, perni ed ali

Facettero sembrar la compagnia

Un solo corpo, insieme, tutti uguali!

 

 

 

 

“LO GIURO!” – Alzammo il braccio in sincronia

Davanti alla Bandiera decorata

E poi fu il turno della sinfonia

 

 

Gioiosa, roboante, meritata

Della fanfara, a riscaldar le vene,

Mentre la mente fredda, concentrata,

 

 

Si preparava ad eseguir per bene

L’ordine che destava più apprensione,

Fonte di mille errori e mille pene;

 

 

Io parlo del “Levate!”, ù’l battaglione,

Ripone in ordine la baionetta

Nel fodero attaccato al cinturone;

 

 

Lo scoglio è la minuscola molletta

Che aggancia sull’estremo della canna

Il manico, perch’essa va ristretta

 

 

Con forza, con due dita, e chi si affanna,

Dal guanto e dal sudore ostacolato,

O non la sgancia o l’alza di una spanna,

 

Si che al “Fianc’arm!”, in modo sgrazïato,

Ora s’affretta per recuperare,

Or per raccogliere, più imbarazzato.

 

Fui sollevato che quel sollevare,

In quell’istante ch’era il più importante,

Riuscì per tutti e fu un bel terminare

 

 

Di una giornata bella ed esaltante,

Piena d’orgoglio dopo tanta bile –

Il giusto premio del perseverante;

 

 

 

Rientrati, alla consegna del fucile,

Sentii come un incidere nel cuore

Di quella scritta in alto, nel Cortile:

 

“Più caro della vita abbi l’onore”

 

 

 

PREPARO

ALLA VITA E ALLE ARMI