LA STRANA TRAGEDIA DEL FORTE SAN RIDEAU

 

di Franco Ressa

 

Cento anni fa la grande guerra, la prima mondiale, costata in tutta l’Europa circa otto milioni e mezzo di morti. Un conflitto che in realtà continuò nell’Europa orientale ben oltre il novembre 1918, attaccandosi alla rivoluzione russa e l’indipendenza dei paesi limitrofi, più la Turchia e l’Irlanda.

Questa è la storia di uno degli ultimi caduti postumi della grande guerra, certamente quello che soffrì di più.

All’inizio del conflitto, nel 1914, la Russia zarista manda all’assalto milioni di suoi soldati, male armati ed equipaggiati, ma comunque rappresentano una forza d’urto che, a caro prezzo di vite umane, ottengono dei risultati. Sulle pianure della Galizia, oggi Ucraina e Polonia, l’impero Austro-Ungarico non regge, il fronte viene sfondato, è una specie di Caporetto, gli austro-ungarici devono ritirarsi di duecento chilometri, e riescono a creare un fronte di resistenza sulla catena dei monti Carpazi. Al di là di queste montagne rimangono però due importanti piazzeforti in Polonia: Cracovia, dove combatte alla sua difesa anche il capitano Karol Woytila, padre di un più celebre suo omonimo, e Przemysl (pron. Premìssc). Quest’ultima viene attaccata dai russi una prima volta nel settembre-ottobre 1914, ma resiste. Poi dal novembre viene assediata.

 

 

Przemysl era una città circondata da un anello difensivo lungo 45 chilometri, che si appoggiava a trentasei forti tra grandi e piccoli. Una linea di difesa interna di 15 chilometri di circonferenza completava questo formidabile apparato militare, che poteva contare su un migliaio di pezzi d’artiglieria: obici e mortai da 150 mm. Cannoni a tiro rapido da 80 mm. e 114 mitragliatrici. I generali austro-ungarici fecero però un grande errore; ammassarono nella piazzaforte troppe truppe: 65 battaglioni, più 7 squadroni di cavalleria, 4 batterie da campagna, 91 compagnie di artiglierie da fortezza e 8 compagnie di zappatori. In città erano rimasti 15.000 civili.

Tutti questi uomini messi sotto assedio iniziarono a trovarsi in ristrettezze, specie alimentari. Durante l’inverno 1914-15 invano vennero tentate spedizioni di soccorso dal fronte dei Carpazi, e altrettanto non ebbero successo gli assediati a rompere la stretta dell’esercito dello Zar. Dopo aver finito i viveri, ed essersi mangiati i 21.000 cavalli disponibili, per ordine del loro generale, Kusmanek, si minarono i forti e si fecero saltare in aria con le loro artiglierie.

 

 

Il giorno dopo, 22 marzo 1915, si arresero 117.000 soldati, 2593 ufficiali e 8 generali austro-ungarici. Tra tutti questi numerosi erano i trentini, triestini, istriani e dalmati di lingua italiana. Resteranno prigionieri fino allo scoppio della rivoluzione bolscevica, poi creando delle legioni autonome dovranno farsi largo nella Russia in guerra civile, ritornando infine attraverso la ferrovia transiberiana ed i porti russi sull’oceano Pacifico.

 

La resa di Przemysl viene poco ricordata tra le battaglie della prima guerra mondiale, ma fu importante perché convinse i politici e militari italiani all’intervento a fianco di Francia ed Inghilterra. Si credeva che dopo una tale sconfitta l’intervento dell’Italia avrebbe fatto crollare l’impero Austro-Ungarico e risolto in breve la guerra. Non sarà così, ci vorranno tre anni e mezzo e 600.000 morti.

 

Przemysl, riconquistata dai tedeschi nel giugno 1915, non vedrà altre battaglie. Nel novembre 1918 il crollo dell’impero asburgico farà appartenere Cracovia e Przemysl alla nuova repubblica di Polonia. Nel dopoguerra le industrie siderurgiche dell’alta Slesia riprendono le attività, e per la loro produzione necessitano di materie prime. Nei forti distrutti le artiglierie fuori uso sono una buona fonte di metalli, e le imprese di recupero iniziano lo smantellamento delle fortezze.

Nel 1923, in uno dei forti esterni nelle difese di Przemysl, il San Rideau, gli operai tolgono le macerie e smontano una porta chiusa di ferro.

Entrano in un locale dove c’è un inaspettata e incredibile sorpresa: un essere umano, scheletrito, seminudo ma coperto da lunghissimi capelli e barba, incapace di parlare se non a grugniti, ma vivo!

Chi sia costui non si saprà; portato in ospedale muore il giorno dopo per lo stress di trovarsi alla luce del sole ed all’aria aperta, dopo otto anni trascorsi al chiuso ed al buio. Viene trovato un quaderno dove è stato scritto un diario.

Si legge che due ufficiali russi sono stati presi prigionieri e rinchiusi nella dispensa del forte. Quando questo è stato minato sono stati dimenticati lì dentro, impossibile uscire per il crollo delle mura oltre le uscite.

Ma nella dispensa sono ammassati parecchi viveri, c’è un pozzo di acqua corrente e l’aria entra attraverso certi sfiatatoi, possibile quindi la sopravvivenza.

I due disgraziati attendono un impossibile salvataggio, alla fine il capitano Alexiei Novikov crolla e si suicida tagliandosi la gola. Il suo compagno di disgrazia sopravvive da solo, probabilmente mangiando anche il cadavere del suo commilitone.

Verrà liberato dopo otto anni, ma come si è visto, non regge la sua riacquistata libertà.

 

 

Tra tutte le terribili vicende possibili in una guerra, questa ha veramente dell’incredibile, ed è stata presa per leggenda, ma da sicure documentazioni polacche ne emerge la veridicità. Le memorie ed i cimeli di quel durissimo assedio sono conservati nel Museum Twierdzy Przemysl: museo della piazzaforte, e in una piazza della città polacca c’è anche la statua del personaggio umoristico Svejk, soldato slavo un po’tonto un po’furbo, costretto a fare la grande guerra per Francesco Giuseppe d’Asburgo.

Creatura dello scrittore ceco Jaroslav Hasek (1883-1923), che nel 1915 fu lui stesso preso prigioniero dai russi.